Canada
La vita, senza l’impegno costante della corsa è quasi meglio, e noi ogni mattina
proviamo a peggiorarla. Il paesaggio è la comica finale di un’estate calda ed
opprimente: sbiaditi sbadigli di nuvole, cartocci di polvere di fango secco, allodole
tonte, un vecchio pensionato panchinato con giornale gratuito a pagina tre, sulle
occasioni. Per distruggere l’atmosfera Murolo e la Martini intonano Cu mè, una
canzone scassapalle al karaoke delle giostrine per bambini. L’altoparlante la
liquifica all’istante nell’aria bollente spruzzandola sulla vernice delle automobili di
passaggio e di quelle ferme. Musica, vernice e corsa, il titolo dello spettacolo.
Accettiamo in fretta il protagonista nudo e Giancarlo si racconta.
Il ritmo risente della storia commovente, del caldo e della poca forma.
Parla del Canadà, Giancarlo, come se fosse una terra ristretta della quale conosce
perfino l’unghia del piede.
Dieci giorni di vacanza con la moglie… la figlia è lì per un lavoro trovato nel web,
si sa i giovani hanno il cuore portatile ed ora lei ama quel posto dove ha spostato
momentaneamente la sua esistenza. Ci passa accanto Tatiana , ha gli occhi truccati
con la vegetallumina, un antidolorifico antico. Parte un saluto formale al quale
risponde con isterica fantasia alzando il pollice destro (ho detto pollice, non medio,
ma il saluto ci somiglia…).
Ogni tanto Giancarlo si lecca il dito per girare pagina e la sua voce stentata dallo
sforzo e dall’emozione ci mostra la foto delle Cascate del Niagara, di strade larghe
e dritte, di paesaggi naturali pittoreschi, di giganteschi centri commerciali e di
un’organizzazione di trasporto pubblico che rasenta la perfezione. Un altro mondo,
distante, diverso, amplificato dagli spazi e dalle ricchezze. Noi lo ascoltiamo a
bocca aperta. Il deposito temporaneo delle nostre gole al Bar ci restituisce energia
e profumo di caffè.
Giancarlo ogni tanto fa una pausa, si stacca dal gruppo minimale, siamo solo in
tre, e va in ricognizione a caccia di avversari e di ostacoli da togliere dal tragitto.
Dopo un‘ora l’allenamento finisce, l’opinione generale è che a nessuno
dispiacerebbe che il racconto continui.
Giancarlo ci parla delle cicogne, dei laghi, dei tanti italiani, ma è di sua figlia che
vuole parlare e in questa frase c’è tutto il suo amore : sono contento che guadagni
poco, così tornerà presto a casa, in Italia.
Intontiti di fatica azzardiamo qualche allungo finale.
Ora c’è calma intorno, una calma soffocante che non mi va di chiamare piatta.
Un piccione, vergine suicida(citazione difficile, solo Coppola la intuirà), si
appioppa sulla sbarra e ci guarda assente… come se noi non fossimo fatti suoi,
sarà in trip di pop corn.
La 12 per un’ora di settembre ci preoccupa un po’ e ci avvantaggiamo per stupirla.
Ma fare progetti seri per poi concluderla con una trentina di giri ci sembra
ridicolo.
Ci vuole tanta umiltà in questo sport, lo sanno pure i tonti, e se perdi quella perdi
te stesso. Ben vengano i 30 giri. Se la perdi, l’umiltà, vieni risucchiato nel conforto
del wischetto serale, nel mezzo toscano, nelle lunghe sedute al bar a raccontare
cazzate e a sentirti lercio e inutile come un personaggio di Welsh. La corsa senza
troppe ambizioni è come una sposa che ti accarezza, ti appartiene e ti prende. Hai
solo il tempo di fare una colazione forte, di ammucchiare magliette sudate, scarpe
puzzolenti, pantaloncini consumati in mezzo alle cosce. Hai solo il tempo di
dissetarti, di bere acqua fresca alla solita fontana. Il resto è tutto suo.
Sei così sicuro di te quando sei con lei (la corsa) da farti avanzo di galera, uno che
lotta fino in fondo, fino al filo di lana. Alla corsa piacciono i brutti ceffi, è come
una donna, ne rimane conquistata, affascinata. Gli altri a lei sembrano dei gran
chiacchieroni, degli scemi che osservano il volo delle zanzare, che contano le
cacatine microscopiche delle mosche, inutili.
Chi corre si accarezza le mani, mette le braccia conserte con i bicipiti ben in
evidenza e dice (agli altri) brutti stronzi vediamo proprio cosa sapete fare…. Vi
fanno ridere 30 giri??!!
Fateli voi!!....
Carletto per non incattivire un mezzo crampo ai femorali si ferma alla sbarra,
sposta il peso su di un anca e mi guarda:
domani vieni Tommà?
perché me lo chiedi…lo sai
Te vedo moscio, te sei stufato?
So solo stanco,
Carlè.
So stanco de sta gente.
Chi?(domanda Carletto perplesso guardando l’intorno vuoto di gente)
Lo so io ..lo so io…Carlè.