Una Maratona low cost (poco prezzo e tante emozioni) Ti metti seduto e aspetti, come Totò, che qualcuno passi nella piazza, poi ti sbagli o ti dimentichi e ci passi pure tu tra tanta gente che applaude felice. La Maratona di Roma è un evento talmente straordinario che poco ci importa chi l’ha vinta o chi ci passa, decretare un vincitore sembra quasi far torto a tutti i 10500 partecipanti e a tutta quella ridda di emozioni alla quale non ci si puo sottrarre . Daccordo lo dico, vincono tre Keniani e il tassista volante Giorgio Calcaterra, primo degli italiani, è solo diciannovesimo. Probabilmente qualcosa va rivista negli ingaggi ai campioni nostrani. Ore 9 di domenica 16 Marzo, colpo di pistola in via de Fori Imperiali e partenza veloce tra l’acredine dell’olio canforato per i massaggi muscolari e il profumo del pitosforo in fiore nascosto tra le rovine della Città Eterna. Tutti i giornali puntano l’occhio di bue su Whitehead il giovane forzuto inglese di Nottingham che corre con due protesi alle gambe e un nugolo di sostenitori, di cosa poi? Non serve parlare di lui, ne parlano già in tanti e in tanti ne hanno fatto quasi un divo come Pistorius che voleva andare alle Olimpiadi. Noi siamo contro certe forme di spettacolarizzazione dell’handicap. Serve invece parlare di Marcello e di suo padre Roberto. Marcello ha avuto paralisi spastiche che non gli permettono movimento alcuno, ma riesce a comunicare una tenerezza e un calore incredibile a chi gli corre accanto, a chi gli vive accanto. Lo incontro dalle parti di piazza Cavour, credo fosse il dodicesimo km , faccio un’intervista volante al padre , Roberto, e lui immediato mi chiede il sito del giornale. Roberto mi racconta che è la settima maratona che corre con suo figlio Marcello, è stato anche a New York dove l’hanno fatto partire con due ore di anticipo sulla maratona e passare sul ponte di Verrazzano da solo, un’emozione unica. Marcello è vestito di tutto punto, tuta, giacca a vento (fa abbastanza freddo) e caschetto. La sua carrozzina ha tre ruote e un maniglione posteriore che tutti ci alterniamo a spingere. Il padre, Roberto, è simpaticissimo, strafottente, spiritoso con tutti, goliardico a non finire, quasi che quel figlio handicappato sia la sua grande forza. Marcello lo sente, lo sa, e alla fine della precedente maratona su quel marchingegno elettronico che gli ha comprato Roberto, chissà dove, (Marcello riesce a comunicare solo digitando le figure) disegnò : sono un ragazzo fortunato. Questa è la Maratona e questa è la sua gente, un’ ossessione continua di commozione, uno squarcio d’amore puro. Sul lungotevere arrivano i due cagnetti maratoneti, uno e piccolo e nero e corre sciolto, l’altro è un breton da caccia ed è legato alla cinta del padrone corridore. Il piccoletto trova il tempo di una scazzottata canina con un altro cane spettatore, poi riparte rimettendosi in gara. Il breton e il padrone corridore l’aspettano pazienti. A Ponte Milvio una ragazza inglese inciampa e cade, la soccorro e lei riconoscente mi si attacca ai gomiti per tutto il resto della gara scambiandomi per un santo protettore. Se cammino qualche passo lei cammina con me, se corro lei corre con me, ogni tanto intona a squarciagola qualche pezzo di un gruppo commerciale inglese, come una radiolina a transistors mette allegria spudorata. Passa pure un tipo mezzo strano , corre forte con un soprabito avana e dietro la schiena ha scritto Lebowsky, credo uno spassionato riferimento al grande film dei fratelli Coen. Piazza di Spagna e giù per Fontana di Trevi , mia moglie li mi aspetta e mi porge un caffe triplo zuccheratissimo e il suo sguardo amorevole , conta più il secondo per farmi ripartire forte. Passa il tempo e l’arrivo arriva, via dei Cerchi, una curva a sinistra , il Colosseo e la lunga dirittura finale. Medaglia al collo e dentro ,come un film, l’immagine di Marcello e del suo dramma, dell’orgoglio del padre , dei due canucci corridori, dell’inglesina che canta a squarciagola, di mia moglie amorevole e di una gara che ti resta attaccata addosso come una madre, come una figlia, come la tua carne stessa.