Maratona di Roma 2009 Un cielo grigio bisturi ci comprime alla partenza, nevvero c'è il sole, è solo l'ansia che fa tutto grigiastro, ansia mista a un leggero stato depressivo per timore di non farcela. Mi sento il piombo nello stomaco, una pesantezza mal distribuita, messa tutta li. Non me l'aspettavo tanta gente e loro non si aspettavano me , per come mi guardano. Sembro un imbucato, uno di quelli che si infilano nelle feste per rimorchiare e mangiare a sbafo, ma che tutti notano subito per colpa dell'abbigliamento e della voracità a tavola e chiedono, ma quello chi cazzo è? Boh..risponde qualcuno.. sarà un amico o un nemico, ma sarà. E per pietismo o per quieto vivere lo lasciano stare dimenticandosi di lui. Nessuno mi guarda più, mi sento un primate con la pelle d'uomo, tutto è semplificato dentro di me,ora. Viaggio breve, andata e ritorno 42 km e 195m. Prima o poi mi passerà questa voglia di correre per l'urgenza di raccontare le cose come stanno.E si, mi passerà. Somiglio a quel coglione che si taglia un braccio per poter dire agli amici quanto dolore si sente. Non ci somiglio affatto, sono uguale. Oltretutto le autobiografie sono un ricatto verso se stessi, sei condannato a dare il massimo, a comportarti bene. Il male, se c'è, poi ti tocca raccontarlo. Un escamotage esiste pure, limitarsi all'informazione, fare come il pasticcere bitorzoluto di Carver, quello che dice: c'è una torta che non è stata ritirata. Dice questo e basta, ignorando il dolore di tutti. Io non so ignorare purtroppo. Troppa confusione alla partenza, le gabbie non ordinano, scompigliano e tutti vogliono farsi avanti per guadagnare metri e io sento un perfetto ipocrita, i miei amici molto più forti e più preparati ingabbiati dietro di me. Nell'aria c'è un odore di olio per massaggi, di creme anti abrasione, di vaseline. Un odore con dentro tanti piccoli odori accumulati, sembra percolato di discarica, nauseabondo. Il mio grido di battaglia potrebbe essere spariamo nello spazio oli e creme lubrificanti puzzolenti. Non mi esce la voce, è implosa, attaccata allo stomaco e alle budella, non riuscirei neppure a dire ciao. Mi aspetto di ritrovarmi steso per terra a guardare il cielo con qualcuno che mi massaggia il petto e mi infila due dita in gola. Molti imiteranno questa mia paura e sarà un viavai di ambulanze. Una giovane donna, molto carina, mi sfiora. Posso solo registrare su cassetta questo sfioramento e ripensarci in gara, adesso non ho voglia di farlo. Un inquilino in carne mi calpesta un piede, ha gli occhi chiusi, ma non dorme. Gli restituisco il favore con una spallata, lo sveglio .. e lui replica…excuse me, guy. E' uno yankee. Maledetti, pure qui. Non gli è bastato il Vietnam, il Golfo, l'Iraq…pure qui devono combattere. Lo guardo brutto facendo il più possibile la faccia da indocinese, lui mi sorride. Penso, o è un americano buono o è deficiente. Penso, cazzo, ci sarà il petrolio sotto il Colosseo se lui è qui. Potrei legargli insieme i lacci delle scarpe per farlo cadere. Mi sorride ancora, fisso. Gli stringo la mano alla sua maniera, colpendola forte aperta. Lo faccio per quel guy che ha tolto di mezzo almeno una ventina d'anni senza che lo facessi io da solo. Guy= ragazzo (non tutti sanno l'inglese)E' felice lo yankee, mi crede un amico e in effetti due con la stessa passione non possono starsi sui coglioni senza nemmeno essersi presentati. Ho la corteccia cerebrale concentrata sull'arrivo, devo ancora partire e non posso perdere tempo con le amicizie extracontinentali. Poi in inglese so solo dire .. sure, kiss me, good luck, good morning, maybe, fuck you e stop it perché somiglia a stupid. Adesso mi piacerebbe essere fotografato e non in corsa quando perderò liquidi ed energie da tutte le parti, adesso che sono pensatore di cavolate e non corridore. Adesso che ho la pelle liscia, i capelli a posto, la maglietta stirata e il carbogel in mano nemmeno spremuto. Adesso che non ho il rumore molesto dell'affanno e gli occhi a tartaruga di chi soffre il soffribile. 9,30 Partenza, partenza valida. Il collo di bottiglia di Via dei Fori produce un gioioso trenino delle feste, incollati uno all'altro senza soluzione di continuità e senza poter correre ma solo caracollare uno addosso all'altro. Le mani sulle spalle ci sono, manca solo la musica brasiliana e qualche urletto, il clima è lo stesso. Un imbecille del nord si accorge dei miei pensieri ed urla a squarciagola : stasera si tromba. Sconcerta la volgarità di certi atleti. Una visione stroboscopica interiore delle mie budella che ballano mi avvisa della prima crisi, km 5. Manca il cervello sul cubo , il gin tonic in mano e un paio di sbuffi, tipo uffffffffff di sigaretta accesa . A San Paolo un vecchio amico mi fa un sorriso a cicatrice. Un altro (mi piace la concentrazione in prossimità delle Chiese fa somigliare la Maratona a quelle gite organizzate dai preti per convincere della fede chi è già convinto) amico mi saluta a nome in maniera interrogativa: Tommà??, come se fosse colpa mia starmene li, dove non dovrei essere (secondo lui) Ha le guance tremule e la bocca aperta come un pesce, il corpo impiallacciato , da armadio di convenienza, uno spettacolo disgustoso,quasi lo ignoro. Quanto sono brutti i maratoneti sotto sforzo, penso. Qualcuno pure senza sforzo, penso. Alla curva dopo un forza Tommaso!!, urlato con più stile, mi proietta tra le braccia di un collega fraterno dell'ufficio, Nino. Si commuove lui, mi commuovo io, ci commuoviamo ensemble. Salitine, strozzature si alternano alla faccia del percorso veloce. Al ventesimo km dei miei amici ancora non c'è traccia, sono tutti avanti, ma la compagnia migliora, mi capita vicino una ragazza con i capelli strani, magra e minuta con la fossetta sul mento e la pelle lattea. E' di Lecce, una città che conosco a memoria, una città energizzante per bellezza. Non ha inflessioni dialettali, sembra molto istruita. Mi corre talmente vicino che respiriamo indiscutibilmente l'uno l'aria dell'altro, abbiamo quasi la condensa sugli occhi. Mi accompagna fino al trentesimo, poi cede al primo sottopassaggio, per noia, per stanchezza, non so, ma cede, rimane nel suo spazio. Si attraversa Piazza Navona , Piazza del Popolo, ridotta a gironda e Piazza di Spagna ridotta dai turisti a frotte. La mia luce ha un colore ben definito, rosso riserva. Il pubblico non applaude più, sembra in posa per i fotografi con il tovagliolo al collo pronto ad arrotolare spaghetti. Mezzogiorno è passato da un bel pezzo, ma io non ho fame, nè sete, mi alimento dei saluti dei miei vecchi compagni di allenamento quasi tutti piazzati allo spugnaggio, ai sali, all'acqua, alle fettine di limone, di arancia, di banana. Tutti piazzati. Tutti che mi strillano, Tommà…ma tu ancora fai le maratone? Non sono neppure troppo stanco, potrei mandarli a quel paese con vivacità, ma leggo nei loro occhi una sorta di pietismo pasticciato con affetto e li perdono. 38 km , i miei gioielli familiari, moglie e due figlie, mi porgono del caffè e dei sorrisi e degli incitamenti e tanto amore. Riparto con energie moltiplicate. 40 km. Let's go (dice). Mi giro e riconosco la stoffa rossa della maglietta dello yankee. L'odio si è trasformato in amicizia grazie alla sofferenza e alla distanza, misteri della Maratona. Gli sorrido, mi sorride, rischiamo il gay pride immediato. 1km all'arrivo, manca solo la salitina del Colosseo e la lunga dirittura dei Fori. Come on brother (dico) è fatta ! porca puttana!! (questo lo dico in italiano). Divoriamo il Colosseo come fosse un monumento di zucchero e giù per la discesa fino al traguardo, spalla a spalla, gomito a gomito, affanno ad affanno. Medaglia al collo, ignorando stanchezza, sudore e Vietnam, ci abbracciamo.