OSTIA
Il tappetino igienico per cani è una grande comodità. Collocato in bagno offre l’opportunità a Gina di vivere spensierata la mancanza di un partner e di fare la pipì ogni volta che ne ha voglia, senza nessuno che l’annusi.
Ci scivolo sopra al buio delle 6.
Sbatto le corna al lavandino.
Accendo il neon, la mia faccia riempie tutto lo specchio. Il testone tenero di mammolo con dentro i cosmetici serve a comparare il mio gonfiore, lo percepisco da ogni frammentato movimento.
Una micro volata in cucina evita al caffè di uscire dal beccuccio della Bialetti. L’effluvio avanzato di mezzo polpettone con patate, piselli e cipolla conclude il mio risveglio o qualche stronzata che ci somiglia.
Ostia, trovo parcheggio su di uno spicchio di prato lacerato.
Alla partenza il cielo ha un’illuminazione sbagliata, quasi verde.
La terra coltivata in cielo.
Nuvole e dopo nuvole e dopo nuvole, ammucchiate a vanvera.
Non so staccare la mia vita dai colori.
Quota orario: le 8.
Un gatto epilettico, non nero, attraversa la strada tremando e saltellando una specie di pizzica tarantina su un asfalto indifferente e senza strisce.
Dodici gabbiani se ne stanno appesi, il phone caldo soffia scirocco, li tiene alti, immobili, illuminati. Li conto meglio, sono quindici.
Al bar il terzo caffè, la cassiera è sorpresa dalla mia flemma, non ho fibrillazioni in corso.
Solo un caffè?
....si solo.
Mi fissa con occhioni acquosi.
Lo vuole un gratta e vinci?
Non gratto.
Con una tripla estensione alle unghie , verde menta (oggi è tutto verde), batte lo scontrino e lo trattiene per farmi pochi secondi di compagnia e capire se sono scemo davvero. Sornione..sbircio le sue gambe, così impara..e ricambio lo sguardo fisso senza preoccuparmi di essere scortese.
Sul bancone, proprio accanto a me, c’è una mosca con le ali attaccate a una striscia di latte. Dimena le zampette, ma non riesce a liberarsi. L’aiuto io, con un dito e vola via felice facendo zummmm. Il barista mi guarda disgustato.
E’ figlia di Dio pure lei, urlo uscendo dal Bar. Nessuno mi insegue.
Sulla striscia di partenza c’è una suddivisione spontanea per età, sesso e velocità. I più giovani e veloci avanti, le donne in mezzo, gli anziani dietro. Io in coda. Quando sono troppo calmo, e fuori forma meglio stare alla larga dalle avanguardie.
Al collo ho un cornetto portafortuna d’oro, unico vezzo. L’intorno è molto più pittoresco di me…bandane colorate, orecchini, tatuaggi fino al mignolo, scarpe fosforescenti, piercing agli zigomi, alle labbra, alla gola. Qualcuno ha con se il cane.
Mi capitano vicino Pino addobbato in nero e Patrizio, addobbato e basta.
Per dire qualcosa elogio la loro forma fisica, abboccano alle mie adulazioni, ingenui. Poi spettacolarizzo un sorriso sincero, vero, affettuoso. Di loro conosco solo il saluto, d’arrivo e di partenza, sono più veloci di me e non facciamo mai in tempo a comunicare. Ci vorrebbe un forum portatile, per farlo.
Manca poco allo start, sono tutti tesi. Ho il cronometro buono, ma ne ho un altro migliore a casa che non uso, è il regalo di un amico e lo tengo da conto per ricordo. Mi racconto…
Era un caldo pomeriggio di giugno di qualche anno fa. L’impianto delle Tre Fontane con la sua pista in terra battuta era una fornace. Eliseo stava sotto il tiglio con le braccia alzate come un chirurgo in fase di riposo. Quell’ombra attira pure me. Che bel cronometro Elisè, beato te che hai sempre tutto alla moda.
Non risponde, c’è solo una piega sulla sua fronte che fa percepire perplessità.
Se lo sfila dal polso istantaneamente….lo vuoi? Pensando a uno scherzo mi allontano. Mi corre dietro. Tommà, ne ho un altro uguale a casa, prendilo viene dagli States. Un cuore e una generosità quasi assurda, Eliseo.
Lo speaker ha una voce spaventosa irritata , forse nemmeno è lo speaker, ma un imitatore, qualche venditore di patate, uno che sistema le cucine a gas.
I primi 5 km li corro su di un materasso ad acqua a bocca chiusa, con molta facilità.
Le ragazze, con i body abbaglianti,(volevo dire fari) sono numerose, ma troppo concentrate sulla competizione e troppo teatrali, non vale la pena osservarle, passano inosservate.
Guardo i gabbiani e guardo quella parte invisibile di me, una parte che nessuno conosce.
Arriva la prima dose di acqua e la prima spallata di un atleta che si sbriga pure a bere, ha i capelli grigi e la pelle quasi trasparente, magro come il bottino diun ladro che svaligia l’interno di un frigo da Eldo. C’è qualcosa di scandaloso e contraddittorio negli anziani in perfetta forma, vanno contro natura. Invece di portare a spasso nipotini, comprare gelati, fare cruciverba facilitati, spingere tabacco nella pipa, fare crociere non avventurose,..….sgambettano( ad Ostia) nell’eternità dei 30 km con le gambe secche e i volti rugosi alla Jagger per dimostrare di avere ancora dimestichezza con la vita e tanta satisfaction.
Al primo ristoro frantumo il bicchiere di carta tra le dita e mi viene in mente il mio vecchio bicchiere.
L’aveva vinto con i punti del sapone mia madre.
Aveva capito che il blu mi donava e lo prese blu.
Aveva pure il manico, blu.
Era mio, nessuno ci poteva bere.
Mamma, perché il mio bicchiere è sul lavandino?
Ma lo devo lavare, amore.
Non si lava il mio bicchiere!!
Ci bevo solo l’acqua, chi ci ha bevuto???.
Si lava..si lava.. e rideva.. rideva….rideva.. mamma,
con i guanti di gomma,
il sinale a strisce e un ciuffo castano di capelli, fuggitivo.
Certi ricordi fanno scavare un tunnel secondario, laterale al percorso, nel quale posso sparire ogni tanto e stare meglio.
Spunta un sole color senape, il tempo è buono.
Mi scolo un carbogel al mandarino di Sicilia,e quell’aggiunta analcolica mi dà una certa ebbrezza.
Sbando.
Un genio in auto convertibile, contromano, lampeggia. Ci saluta o ci avverte del controllo elettronico della velocità. Non si capisce bene. Vado piano, nemmeno il Tutor mi frega. Ho pure la radio accesa e una musica allegra in testa, Nude dei Radiohead.
Il mio orologio da 200 euro mi da le pulsazioni in tempo reale, il consumo delle energie, i km percorsi: pochi , un trailer dell’Era Glaciale e uno spot della coca cola. Non mi dice che ora è, non vuole complicarmi l’esistenza con stupidi messaggi orari.
I cambi di direzione, aggiunti al vento, ci mischiano come un mazzo da scala quaranta, non ci si capisce più niente, non so chi scartare.
Memorizzo solo gli avversari invalidati, è più facile tenerli sotto controllo, sono già selezionati. Sono cinico quanto basta per poter dire che si selezionano da soli, o meglio si fanno male da soli, esagerando negli allenamenti.
Uno spilungone con la faccia da pugile ha un sostegno blu gonfiabile, un tutore del ginocchio sinistro e un ventre da divoratore di kebab che trasporta con discrezione in un trolley rosso amaranto, la sua maglietta sociale. Lo supero.
Una megera con la ricrescita bianca ha un herpes labiale evidente, miagola nel respiro: è raccapricciante. La supero.
Una bella ragazza con i capelli tagliati a macchinetta, rasata, corre a braccia larghe. La vedo bene su di un divano con isola e penisola, per un fattore puramente geografico e ambientale. La supero.
Un insetto mi si attacca alla faccia, muore da solo , senza fare troppe storie.
Dovrebbero organizzare le gare nei centri commerciali, più asettici (mi sa che senza insetti si dice in un altro modo) e con variazioni altimetriche e metereologiche nulle. Sarebbe una figata, sarebbe tutto very cool!…. Nessuna moglie, fidanzata o compagna oserebbe più dire…. che palle ste gare la domenica!! e…..mentre noi corriamo tra promoters di Infostrada, trenini per bambini, palloncini e responsabili della sicurezza…loro con serena tranquillità faranno shopping da Coin, colazione da Illy, pranzo da Mac (se la gara è lunga eh..). Felici come una Pasqua, succhiando fumo dall’ennesima sigaretta rilassate tra i ciclamini del giardino pensile.
Dopo una strettoia il cartello più fesso del mondo avvisa: stiamo lavorando per voi. Qualcuno ha aggiunto a mano in un raptus minimalista una scritta peggiorativa : polli.
Al posto di ristoro un addetto con la mascella quadrata manda un messaggio sublimale con lo sguardo :…non fate gli scostumati o vi spacco le ossa.
La mia negatività quotidiana sembra scemare in ottimismo, mi adatto ad essere più sereno, meno facoltoso nel rancore verso tutti. Nulla modifica il commento di un automobilista bocconiano: questi corridori del cazzo, tutte le domeniche qui. Non corro ad Ostia da un anno, non mi sento colpevole. Accantono l’idea sadica di scazzottarlo e di colpire con il suo corpo inanimato qualche colonna di cemento per rianimarlo.
Inciampo nell’onda motoria di due ragazze, la loro porzione di viso non paralizzata dallo sforzo è molto carina, il resto dimenticabile.
Corrono a culo basso, gambe leggermente piegate, hanno fatto stretching prima della partenza su di un inginocchiatoio e gli è rimasto stampato il movimento mistico, cantano disperate una canzoncina dolce delle sorelle Cocorosie, sfidando l’umanità intera a riconoscerla.
Gara musicale.
Linea verde è alle 13, accellero per non perdermi la puntata sul pecorino sardo, è più interessante delle loro note stonate.
Al ristoro l’acqua al sapore di idrolitina raschia la gola e non disseta.
Se solo mi limitassi a seguire le indicazioni scadenti dei passaggi dovrei salire sul primo Zeppieri e tornarmene al paese o sedermi nel posto meno rumoroso di un Bar a leggermi il giornale.
Azzardo il ritmo per reazione, alle brutte dirò che mi fa male un testicolo e mi ritiro. A tutti quelli che gareggiano fa male la schiena, un ginocchio, il tendine d’achille, il tallone. A me fa male un testicolo, tanto per non essere omologato. Il passaggio da turista a Ostia Antica mi fa sentire troppo poco giardiniere per amarlo, è infestato dalle erbacce. Il percorso recupera interesse con le anonime stradine dell’idroscalo, piene di ragazzi di vita(pasoliniani).
Arriva il porto di Ostia in bonaccia e ci sentiamo tutti al sicuro.
Passano i chilometri, non guardo il percorso per rispetto delle mie sensazioni.
Poi la pineta bruciata, fresca di ricrescita genera tenerezza, dimentico di essere un egocentrico sparagnino di buoni sentimenti e mi commuovo per quella rivalsa naturale. L’ennesimo sorpasso di un tale che corre a bocca chiusa ripristina il mio spirito battagliero virtuale, con quella bocca deve essere uno che succhia gli spaghetti a tavola, solo la chirurgia ablativa sperimentale lo salverà.
Che rabbia quando la gente mi supera, a fine gara avrò almeno 500 rabbie da assorbire.
L’oroscopo giornaliero si era già preso una bella fetta del mio futuro, diceva: giornata scadente, non muovetevi da casa, se possibile chiudetevi dentro a chiave, se avete una chiave, altrimenti inchiodate la porta e puntellate.
Salto un paio di tombini poco stabili con l’agilità di un pescatore di telline, attraverso un cavalcavia.
Una madonnina di plastica con dei fiori di plastica sta a mani giunte in un giardino condominiale. Manca il rosario e mancano i devoti.
Un toc sulla spalla mi fa girare,… sarà il postino.
Sei partito lento Tommà.
Hai bussato tu?
E si eh.
Sono rimasto imbottigliato Frà.
E c’entravi nella bottiglia?(ride)
Dai che chiudiamo sotto le tre ore,… mi restituisce al genere umano.
Il suo sorriso continuo, tatuato sulla faccia buona, allontana tutte le mie malinconie e qualche avversario impressionabile.
Lo sorveglio, come si fa per un bambino, ho paura si faccia male.
Ci raccontiamo qualche bugia e qualche verità sulla nostra vita per tenerci compagnia.
Prendo nota dei fans entusiasti in modo da poterli spostare più avanti sul percorso ed avere un apprezzamento costante del nostro impegno.
Onestamente , avevo sentito dire di un gran numero di spettatori, di una manifestazione molto sentita. Provo a contare quelli che applaudono al passaggio: 2 da un balcone immersi in una finta cascata d’edera, 3 seduti al Bar, 1 in bici da passeggio, 2 in bici da corsa, 1 appoggiato alla macchina,16 o 18 in gita turistica da un paese sconosciuto, 1 addetto AMA, 1 mio amico al posto di ristoro, una coppia di suore.
Passiamo sopra un accumulo di bicchieri di carta, bottigliette e barrette energetiche strane, si accoda una ragazza in difficoltà, ha due fessure piene di occhi neri e un buco rotondo per la bocca verniciata di rossetto scarlatto. Non parla e la riduzione di quel brodo di parole, quel sugo ristretto aromatizza gli sguardi.
Una quarta piena e un viso oblungo, magrissimo, pallido, che sembra risucchiato. Penso alla compressione sul suo petto in caso di emergenza.
Penso a come le salverei volentieri la vita con una manovra di Heimlich in caso di soffocamento (accontentandomi dello stomaco).
Hai mai fatto teatro, cinema , tv?
Chi io?
Si tu…sembri un volto conosciuto.
(ride)
Mi spiace deluderti, lavoro in uno studio legale, sono avvocato o avvocatessa..fai tu.
Perfetto! ..così potrai difenderci, …spara Franco.
Da cosa?
Da te…(sorrido io e sorride Franco, il battutista estemporaneo)
Il tirocinio dura pochi minuti, cede e si allontana, rallentando.
Più nessuno ci difenderà, Frà.
La mia vista si attenua oltre i 10 metri, cerco di ignorare la forza di gravità e di stare sopra, in alto, come i personaggi dipinti da Chagall. Non voglio barare, voglio solo introdurre una dimensione più artistica del gesto atletico.
Mi viene in mente l’inizio di un libro che sto leggendo….Siedo in un ufficio, circondato da teste e corpi. Sono qui dentro.
Mi viene in mente la fine di un libro che sto leggendo….E quando si riebbe era disteso sulla schiena su una spiaggia di sabbia ghiacciata, e pioveva da un cielo basso, e la marea era molto lontana.
Stai troppo zitto, diventando troppo cerebrale, Tommà.
Non lo guardo, è solo gambe e una voce nell’ orecchio. Mi domando se conosce oltre all’ argentino e all’italiano qualche lingua strana di nascosto. Non lo capisco.
Strategicamente rispondo…fa parte della mia intimità esserlo, Frà.
Ma va..va…
Quelli che corrono non sono stupidi, sono solo stupiti.
Ogni tanto pensano, ogni tanto non urlano.
Un bambino, accanto al nonno, fa ciao ciao con la manina al mio lato sinistro….
Masino? Masììì?
Eh... che c’è….
Dove sei?
Sto qui, Mà.
Qui dove?
Sul balcone con il camioncino.
Scendi giù in cantina, vai a vedere cosa combina nonno e digli di venire su.
E che deve combinà?
Vai!!e sbrigati.
Va bene, vado…
E accendi la luce delle scale.
Va bene…
Scendevo giù, senza accendere la luce, ad occhi chiusi,
la maestra mi aveva detto che i ciechi vedono meglio di noi, al buio.
e ogni volta volevo provare.
La cantina era illuminata da una luce fioca.
C‘ erano le bottiglie di pomodoro e quelle di vino accatastate con cura.
Nonno stava seduto sotto la finestrella con il vetro zigrinato e leggeva
Famiglia Cristiana.
La prendeva la domenica dopo la Messa, quasi gratis, ad offerta.
Come facesse a leggere con quella poca luce proprio non so…forse guardava solo le figure.
Sul tavolino vecchio da osteria… un sigaro acceso e mezzo bicchiere di vino rosso.
Ti ha mandato la mamma , vero?
No nonnino, avevo nostalgia di te e sono venuto a tenerti compagnia.
Quella tenera bugia lo commuoveva e si asciugava sempre una lacrima
con il polsino della camicia da caccia.
Va bene, andiamo su.
Con calma apparente prendeva il berretto, il giornale , il mezzo toscano spento,
l’imbuto,… e saliva gli scalini di pietra con me dietro, lentamente.
Ogni scalino gli scappava una scorreggia e
io cercavo di soffocare la mia risata tappandomi la bocca con le mani.
Poi non resistevo e ridevo…ridevo…ridevo,
Hai un calzino bucato.( Franco evita quella specie di litigio posturale e mi risveglia)
Guarda le gambe delle donne!... non pensare al mio calzino.
Non reagisce.
Osservo l’orologio per vedere se funziona ancora, cerco di ricordarmi da quanto non corriamo.
Franco ogni tanto controlla un dolorino ai femorali e si alliscia le basette.
Sembra inconsolabile la nostra voglia di finire una gara che non finisce, mancano ancora 6 chilometri.
Siamo in zona canale dei pescatori, ci sono trentuno mani che applaudono, più o meno(uno ha il braccio ingessato).
Ogni cambio di direzione ci fa cigolare.
Franco ha gli occhi vitrei di chi ascolta, ma non sente.
Noto, per la prima volta, che è troppo assente.
Lui è molto fisico, poco cerebrale, solitamente.
Qualsiasi cosa dico fa o.k con il dito alzato.
Mi preoccupo.
Hai sete?...si, con il dito
Hai fame?...si, con il dito
Sei stanco?....si, con il dito
Rallentiamo?....si, senza dito
Il lungomare ci ritorna vicino, quell’acqua cheta ci tiene alla nostra presenza.
Ritorna il circuito demenziale senza senso.
Il cavalcavia.
Una retta .
Una rotonda.
Tutto sembra ingarbugliato.
Corridori seminati, sbandati, stremati, ad ogni metro.
Un‘ idiozia perfino superarli.
Non c’è nulla di eroico a farlo.
Ne tocco uno per vedere se respira.
E’ grigio come il cemento.
Prende il tocco come un gesto amichevole, ha un cappellino da tonto, con la visiera alla rovescia.
Chi organizza queste gare dovrebbe dire; tu si, tu no, tu si , tu no.
A me e Franco.. direbbe: fate un po’ come vi pare…ma è più no che si, siete archeologia sportiva.
Infilare un dito nel frullatore in moto fa meno male di questo percorso infinito.
Entriamo alle spalle dello Stadio Giannattasio.
C’è da fare un bel pezzo di pista, un 300 metri circa.
Franco apre la bocca: camminiamo Tommà?
Se provi a fare un passo camminato ti prendo a calci nel culo.
Eh?
Non ti fermare, esclamo senza punto esclamativo.
Lo tengo nella parte interna della corsia, il mio gomito incollato al suo,
sanguina acido lattico dalle gambe.
Non ti fermare.
Non mi fermo Tommà, ma mi viene da vomitare.
(lo sforzo gli ha regalato una faccia febbricitante)
Non ti fermare!!(ora c’è, l’esclamativo)
L’arrivo tondo, gonfiato nel pallone, è a 100 metri.
Non renderà la nostra gara un successo,
ma ci aiuterà a portare la pelle a casa.
Un tifoso urla dalle tribune… forza che è finita!!!.
Finita che?...fatti i cazzi tuoi.
Franco ride,… ride,…. ride.
Tommaso, me, ride,…. ride,… ride.
-Leopardato nei sentimenti dalla passione assoluta per questo sport,
preciso che il mio umorismo, spesso cinico, esprime solo un taglio diverso
del mio amore per tutti quelli che corrono. Nessuno escluso.
Accendo la radio e finiamo in musica:
Andarsene Così- Baustelle.
Un inno al suicidio per chi ha impiegato 55’, 30’’ per correre i 10chilometri.