Tesserino Coop
di T.Casale
La corsa è bella come un’insalata di pomodori.
Si dice così: che hai mangiato per pranzo? Una bella insalata di pomodori.
Come ti sei allenato? Con una bella corsa al parco.
Quell’aggettivo ricorrente, praticamente inutile, serve solo ad addolcire l’acido dei pomodori e la
fatica della corsa, situazioni parallele.
Il bella c’è sempre. Abbiamo fatto una bella gita, ci siamo comprati una bella casa, una bella giacca,
una bella automobile, abbiamo visto una bella donna.
Tutto è bella, e bella vuol dire anche rivincita, rimettersi in gioco, avere nuove chances .
Anche la gara è bella, pure se gli avversari, quasi sempre si tramutano in avvoltoi, in pugnali di
carne pronti a colpirti ad ogni crisi, ad ogni dolore, ad ogni sbaglio. E non solo gli avversari.
Me ne viene in mente una , ma non vi dirò che gara..tanto tutte le gare si somigliano, cambia solo
l’altimetria, la lunghezza.
Ore 8, non c’è fila per prendere i pettorali, siamo in pochi.
Una tale, seduta a gambe aperte davanti a un tavolino riverniciato, con la concentrazione di chi
esegue un operazione chirurgica, maneggia un foglio a righe qualunque.
….… Lei vuole iscriversi alla gara?....
poi rimane ad osservarmi per una ventina di secondi abbondanti con gli occhialini da supermercato
a metà naso. L’abbigliamento poco consone e il ventre da bevitore di birra (a me non piace vestirmi
da runner e non piace l’acqua minerale)non gli sconfinfera tanto.
E poi di nuovo…così lei vuole iscriversi alla gara…
Cazzo, penso, questa è scema proprio o sono su scherzi a parte?
Ma ce l’ha il tesserino? (annulla i miei pensieri)
Tiro fuori da una tasca a caso, gonfia di cose, il tesserino.
La tale controlla la foto…e….e., ma non c’è foto…questa è la tessera della Coop.
Maledizione, l’ho confusa a casa.
Il certificato medico ce l’ha?
Siamo alla ASL? ..replico tempestivo.
Non faccia lo spiritoso, senza certificato non può correre.
Io continuo a guardare inorridito quei frammenti di donna.
Non può garantire un amico?..conosco tutti, corro da una vita e la vita corre con me.
NO, assolutamente no, non ci prendiamo queste responsabilità, c’è il suo presidente?
Sono un anarchico, non ho presidenti.
Senta, io non ho tempo da perdere non vede che c’è fila!
L’aria arrogante la faceva sembrare meno disgustosa, quasi sexy.
O.k, mi tolgo.
Avanti un altro recita a nenia la tale, nemmeno fosse una maitresse poco tollerante in una casa di
tolleranza.
Con regolarità mestruale controlla i cartellini degli altri, sono tutti a posto.
Mi guardo le scarpe, quando non so cosa dire mi guardo sempre le scarpe, l’unica cosa che ho da
corsa. Ho voglia di accendermi una sigaretta, sbircio la gonna plissettata avana del giudice e il
mezzo scoscio detestabile, per noia.
Mi accusano spesso di essere un misogino profondo, mi convinco che per certi versi hanno ragione.
Quella donna è quadrata come il cubo di un militare.
Una ragazza in completino giallo, minuto, che immagino molto facile da togliere, mi chiede…ma
davvero non ti fanno correre?
No, rispondo, correrò ma per fatti miei, senza numero.
Ma su…possibile mai che adottino tanta fiscalità per una strapaesana?
Non so dirti, ma sembra di si, comunque grazie figliola.
Non sono mica così piccola sai… replica con lo sguardo dolce e minaccioso gonfiando il petto.
Mi vengono in mente fulminei quei cioccolatini con l’incarto simile, ma con sapore diverso, gusto
diverso,…che ti accorgi o meglio individui il gusto solo quando li metti in bocca e si sciolgono.
Mi piacerebbe scioglierla (non sono misogino, era una cazzata)
E’ un arbre magique all’essenza di donna.
Ride e sorride insieme, delicatamente, ed emana fragranze femminili ossidate appena dal profumo
forte della campagna intorno concimata a vanvera.
Mi sento attratto dalla forma delle sue ginocchia, dal mento, dalla caviglia sottile, dagli occhi, dai
denti abbaglianti. Da parecchio, insomma.
Lo iscriva… sussurra supplichevole a quel tormento di donna giudice.
Lei è sua figlia?
Distaccato, la osservo come un serpente a sonagli pronto per colpire.
No, sono una sua amica.
Mi dispiace, sono le regole, voi le conoscete tutti…
Il dipinto di ragazza si allontana con il pettorale in mano, saltellando.
Qualcosa mi gratta lo stomaco, sarà l’acqua gassata, ma non ricordo di aver bevuto.
Mi sento in colpa come un ragazzino che ruba le penne a sfera nei grandi magazzini,
per scrivere. Io per correre.
Un matto bastardo come me non può farsi infinocchiare da un capitombolo di donna,
decido istantaneamente di correre davvero, senza numero. L’ipotesi di ucciderla, subito
accantonata, mi avrebbe dato problemi, difficilissimo far sparire un cadavere così pesante.
Potevo tuffarmi nelle acque smeraldo di Ostia, invece di venire qui.
Questo si.
Il cielo pure è pieno di colori: bianco, azzurro, grigio, sembra un paesaggio.
La mia delicatezza persa diventa stanchezza anticipata, delusione.
Da un balcone qualcuno batte un tappeto.
Da una finestra qualcuno sventola una tovaglia a quadrettoni.
Mi sento cadere addosso delle briciole immaginarie, pesanti, fastidiose.
Non sento più le voci della gara, sono già lontano.
Quando sbaglio nessuno mi perdona mai.
Che schifo.