The Human Race di Roma (vista da dentro) Ultima gara d’agosto. Ore 19,45 di una serata domenicale romana calda e umida, quasi asfissiante. 8000 atleti in maglia rossa attendono lo start di Carl Lewis, il mito, per correre i 10 km della Human Race. Credo che sia la prima occasione per tanta uniformità in gara, un milione i partecipanti di tutte le città del mondo coinvolte. Grondano tutti sudore anche a star fermi , hanno tutti la faccia fritta dall’emozione e l’occhio all’orologio.. Ore 19,59 lo speaker comincia il conto alla rovescia. Meno 18..meno 17…meno 3..meno 2 meno 1 Via!!..... e la partenza parte. La macchia rossa si allunga come un elastico di bungee jumping. I migliori fuggono subito superando in velocità la prima salitina del Colosseo, via dei Fori e l’altra salita di via Cavour dove c’è il giro di boa. Bello vedere quelli che già dopo un km e mezzo ti sono ottocento metri avanti. Bello vederli scendere a velocità doppia e non provare invidia, sono della tua stessa squadra, hanno tutti la maglietta rossa come te. Stanno correndo tutti per il tuo stesso scopo, portare rumore e aiuto ai rifugiati, a tutti quelli che fuggono dalla guerra e dalla disperazione. Che non è la solita corsa si sente nell’aria,anche se la suggestione dei passaggi a piazza di Spagna e piazza Navona sembra un deja vu. C’è troppo silenzio, troppo ordine, troppo garbo, perfino i bicchieri d’acqua vengono riposti con cura e..non era mai successo prima.. Nemmeno uno schiamazzo, ne l’ordinario furore dei runners extraregionali del nord, del sud. Non c’è lotta, non c’è battaglia e se c’è agonismo è solo tra i migliori. Si corre quasi tutti allo stesso ritmo, ci si guarda spesso in faccia e spesso ci si chiede:come va amico? Piazza Venezia, via dei Cerchi e l’arrivo arriva. Al Circo Massimo poco dopo lo striscione c’è un concerto musicale che nessuno dei runners sente. Non si puo passare con disinvoltura dal silenzio emozionale di una gara delicatissima al suono delle chitarre elettriche, della batteria. Ci vuole tempo, ci vogliono minuti, ci vuole acqua fresca, ci vuole riposo. Il campione italiano dei 10000 metri Stefano La Rosa vince su Paul Tergat e Vincenza Sicari si aggiudica la prova femminile. Tornando verso Caracalla, dove è la sede logistica della gara, mi trovo la mano sulla spalla di un mio amico radiologo che sbuca dal buio,lo saluto . Dopo pochi metri inciampo in un mio amico tassista, lo saluto. Varcato l’ingresso dell’impianto trovo il sorriso del mio amico professore giunto da Nettuno, lo saluto. Di tutti non ricordo il nome, ma solo la professione e la commozione. Mentre salgo sulla metro continuo a chiedermi il significato di quel colore, il rosso. Mi sento come quegli uomini compassati che vogliono dare l’impressione di essere stati belli e forti da giovani. Io sono stato giovane e forte un quarto d’ora prima, sulle strade di Roma. Raccolgo la maglietta rossa dalla busta di plastica e in un angolo la indosso di nuovo, bagnata. Mi siedo con il petto gonfio come un tacchino, sbircio il telefonino, guardo i gadget della gara. Sorseggio acqua minerale dalla bottiglietta, l’aria condizionata mi da un brivido. La maglietta rossa è fradicia di sudore. Non la cambio. Quattro fermate e arrivo a casa.