Appia Run 5. I non corridori amano i corridori per la loro stravagante forma artistica di spettacolo e perché costa poca fatica guardarli nella storia semplice di un’andatura più o meno armoniosa. Pure la fila per l’iscrizione alla gara rappresenta per loro una prodigiosa impresa coreografica e i miei spostamenti ponderali dalla gamba sinistra alla destra e viceversa esercitano sempre una certa influenza sull’attenzione umana. Questa mattina tocca a una donna del pubblico, credo, proprio dietro le mie spalle, che per aver selezionato nelle sue attenzioni un deficiente come me non deve avere le idee chiare sugli uomini. Comunque, da parecchio non provavo tanta gratitudine per lo sguardo di una donna, e la provo. Sia ben chiaro è solo un’osservazione di sguincio, la sua, neppure troppo benevola, e lei potrebbe essere una semplice analista che ha scoperto il pazzo da studiare. E proprio non lo so da dove mi esca la solita cortesia, ma mi esce: -Si offende se le cedo il mio posto in fila? -Ottavia mi chiamo, e di lei cosa sarà? -Io neppure ricordo perché sono qui, ho una certa predisposizione a stare incolonnato e non mi pesa, mi serve a creare il personaggio, ho in mente uno che si stufa e uccide tutti quelli davanti. -Ha la faccia troppo buona per essere un assassino, ma può fingere di esserlo se le fa piacere, e io farò finta di crederci. -Sto solo cercando di rendere la mia vita più divertente delle altre e se lei mi aiuta, se lei diventerà mia complice suonerò la trombetta e tirerò coriandoli. - La trombetta pepperepè mi piace, l’aiuterò. Ride. Ma non poteva fare l’iscrizione anticipata invece di ingaggiare questa tarantinesca lotta sanguinaria? -L’iscrizione putativa è per il mio amico Annibale. -La faccia fare al suo amico la fila, no? -Lui sta posteggiando l’auto e mi sentirei una persona diversa , io voglio essere quello che sono adesso. Lo dico con voce impostata e una finta solitudine negli occhi. -Uno che fa la fila? La osservo meglio, ha un’abbronzatura autentica, narici come due buchi di spillo, due pozzanghere verdi per occhi e due splendidi orecchini di perla sotto un taglio corto castano, a mandibola d’insetto. -Ho avuto l’ultimo numero di gara a disposizione, ora lei resterà senza. -E dov’è il problema? -Non so cosa altro chiederle, è così fuori dagli schemi. -Mi chieda se voglio più bene a mamma o a papà. -Ma lo sa che lei ha talento? Improvvisa le sue battute o le scrive prima? -Le scrivo sulla mano per non dimenticarle, prima. -Vedere! Sulla mano ho qualcosa di scritto davvero, con la bic, il mio tempo finale della gara sul quale ho scommesso un volgare cartoccio di fritto di mare con Roberto alla bettola di Fiumicino. Il tempo scritto in mezz’ora di fila si è arrotondato, disciolto da mio gel per capelli che tocco spesso per nervosismo. -Guardi. Apro la mano sinistra e appare una frase stroboscopica, incomprensibile. -E cos’è? Ride. -I love you. Un rossore improvviso aumenta la compattezza della sua abbronzatura, altre cose non ha la forza di mostrarle e prova a sgusciare fuori dal corpo per allontanarsi inseguendo la sua amica Anna. Non so se sentirmi contento o dispiaciuto della mia perfetta performance attoriale, del colpo di scena, e per metterla a suo agio abbasso il tono della voce e mi avvicino alla distanza giusta, pochi centimetri. -Guardami, gira la testa non le spalle. Lo dice Wermeer alla serva che dipinge e di cui si è innamorato. I riflessi di luce negli occhi della ragazza sono la cosa più bella mai vista in un’opera d’arte, le labbra umettate sono le più belle labbra umettate mai viste in una donna, l’orecchino di perla è molto di più di un orecchino di perla. -Prima, è la prima volta che un uomo in città mi cita cose così preziose, e la prima volta che non mi dà fastidio se mi guarda. -Sono un provinciale, mi alleno con le ragazze di campagna, per questo non mi ha sentito prima e essendo autorizzato non la guarderò più di nascosto. -Non fare leggere la mano a nessuna ragazza di campagna, quella scritta è mia, vero? Ride. -Tua, e grazie per il tu. -Mia fino alla prossima fila, promesso? -Si, promesso. Ma ci stai provando? Faccio una risata finta, la risata vera la conosco. -Tu scrivi I love you sulla manina e sarei io quella che ci prova? Pianto l’ultimo albero in un prato seminato a fiori e… -A mia madre piace passeggiare nelle giornate di vento e in una di quelle giornate aiutata dalle condizioni metereologiche mi confidò che papà non le aveva mai detto di amarla. -E quindi? -E quindi da quella volta me lo sono scritto sulla mano per non deludere nessuna donna, perché è brutto deludere una donna, e se dimentico leggo la mano e lo dico. E vale per tutte le cose belle che mi piacciono. -E io sono una cosa bella? -Si. -Copi come a scuola? -Come a scuola. -L’amore non si copia. Mi sento scivolare dal prato in un acquitrino, la sua innocenza, la sua delicatezza non meritano le mie bugie. Mi manca il coraggio di salutarla, da due minuti sta zitta, una breve quarantena emotiva cruciale. Sei molto infantile, lo dice con velocità notarile con l’aggiunta di un sorriso per non obbligarmi a scusarmi, come se avesse intuito qualcosa. Usciamo dall’impianto di Caracalla gomito a gomito, senza salutarci con un rancore che non so da dove arrivi. -Alla prossima. -Alla prossima. La partenza è sulla stoffa morta affianco all’ anonimo parcheggio di Caracalla. La competitiva avanti e gli amatori dietro per un percorso più breve. Tutto cambia dopo il colpo di pistola, l’osceno mondo cittadino fatto di automobili e smog si allontana disperso dalle pietre dentellate della via antica, Appia. La fascinazione per le sofferenze umane ha un bel palcoscenico sulla struttura iniziale tutta in falsopiano e la distanza che avevamo provato a fingere di poter percorrere in meno di un’ora un’ora se la prenderà tutta per colpa di un paio di colli di bottiglia non previsti dall’organizzazione. Si sta fermi e si aspetta che la fila scemi come in metropolitana. Non è facile identificare quali siano i miei amici, ma siamo un bel gruppo con il rito primitivo di divertirci attraverso il riassunto di episodi stravaganti della nostra malconcia esistenza sportiva. Competizione e conversazione hanno gli stessi lineamenti, solo Annibale sta zitto. -Provo a cambiare stazione, in questa non c’è audio. Una voce di qualcun altro, non la sua, ride. I nervi scoperti non reagiscono perché il suo comando è di non reagire, sembra uno che ha ingerito antiparassitario paralizzante a colazione. Ovviamente questo suo atteggiamento non desta preoccupazione, anche se il processo di demolizione del silenzio tarda a colonizzarlo. Catturato da un tratto di strada spianata il mio istinto patriottico dice: -bello qui. Bello si, il mio sogno volontario è restarci a vita, la nostra città è una perla d’arte, dice Carmine. -La parola ‘perla’ mi ricorda con nostalgia qualcosa che ho visto di recente, per essere precisi mezz’ora fa. La fortezza di Annibale non si abbatte e lui continua a essere lo schizzo sommario di un amico, l’unica sua parte vivida è il sudore che gli cola dalla fronte, vorrei dedicargli il resto del discorso, ma è goffo e distaccato. Quello che funziona del racconto è quello che non descrivo, il resto è così, mi dispiace. Mi sono sempre vergognato del mio passato da nullafacente veramente ripugnante, quando vedo i giovani che si danno da fare per un lavoro, per un progetto di famiglia dico: Dio come ero niente. Ma ora non ho nulla di cui vergognarmi. Nulla di nulla. Gli oggetti più bassi: i fossati, i cespugli di corbezzolo, le cinciallegre, i circoli delle streghe e le schiume bianche dei funghi prataioli e delle pastinache selvatiche fanno da guida al nostro sguardo rasoterra. -Non sono iscritto a vita a farti da amico, se vuoi possiamo pure litigare. -Lasciami in pace, Tò. -Mi venga un colpo se ho mai visto qualcosa di così stupido e scemo. -Mai quanto te-, lo dice come un caribù, a testa bassa. Mi ficca un gomito nel fianco. -Ti diverti eh. -E certo. -Non ho mai corso senza numero. -Ma se sono stato in fila per più di mezz’ora. -Ho la voglia matta di non conoscerti, non ti senti in colpa per niente? - Non potevo uccidere tutti quelli davanti, anche se ci ho pensato. Con intontimento ipoglicemico superiamo i saliscendi della Caffarella confortati dalla compagnia di Ottavia e Anna e della loro amicizia ritrovata. Toni divertenti si sostituiscono a confessioni scandalose che giustificano la stanchezza. Il giorno prima hanno tutti fatto l’amore, hanno tutti bevuto alcol, hanno tutti avuto mal di schiena. Fanno tenerezza le bugie dei corridori in difficoltà. Roberto corre a scatti come un cartone animato e si gira per non perderci di vista. Ottavia ride e profuma come il mio orsetto essiccato al sole. Il bel panorama e la gradevole conversazione diventano dissuasori di velocità. L’arrivo arriva. Ottavia mi prende per mano. La sua, minuta, sparisce nella mia, sento il polso, il battito. Mi si riempiono gli occhi di lacrime per quella stretta, per l’emozione, per l’arrivo. Attraversato il traguardo costeggiamo l’aiuola per il ristoro finale che sembra un mercatino di acque minerali. Ottavia mi artiglia un braccio. -La mano, vedere! -Quale? -Non si è cancellata la scritta. -Non mi sono mai piaciuti gli scrittori che scrivono cose carine, ma non l’ho cancellata. -Sei uno scrittore? -Se ti siedi vicino a me ti racconto perché non sono uno scrittore. -E cosa sei? -Un uomo semplice un paio di volte al giorno, forse tre. -E per il resto della giornata? -Muffa. -Ma che presuntuoso, muffa…voglio proprio vedere fino a quando riuscirai a sostenere questo ruolo triste, è impegnativo sostenere il ruolo triste. Magari poi come giro le spalle l’uomo fragile e indifeso si metterà a saltare, ballare e brindare sghignazzando per avermi fatto credere quello che non è. -Questo è un racconto sportivo non sono così potente da poterlo rendere troppo autobiografico, rischio la censura altrimenti ti risponderei. -Me la puoi sussurrare in un orecchio la risposta, allora. -Farò di meglio la scriverò sulla mano. -Ecco, scritta. -Ma è quella di prima. -Quella di prima. XXX In questo giorno di festa se potessi esprimere un desiderio farei tornare in vita due ragazzi che non conosco, non sto a dire chi perché nessuno capirebbe la loro vita difficile. E mi scuso con i loro famigliari a nome di tutti quelli che non capiscono. A mezzogiorno qualcuno pianta fiori nel sottopassaggio di Ponte di Nona. Rallento. Zingare.