La corsa della Befana 2015 Sto cercando di ricostruire le cose che non mi erano chiare nemmeno in quel momento: 5 ore fa. Quindi non vi lamentate se tutto non si capisce. Alternativa illimitata al fitto negoziato per fare pipì su di un cipresso, forme sparse, una miriade di forme sparse, tutte senza indirizzo, vaganti, opache di riscaldamento. Nella pancia della partenza vuoto e calma, tutto quello che c’è dentro, ora, si può contare: due vigili, tre della protezione civile, uno speaker, un cane. Non sono il bel ricordo di nessuna, sono vecchio e pure goffo, ma ho molti amici. Saluto Roberto Tognalini del Marathon Club che si stringe nelle spalle quando gli chiedo se è in forma, seduto consegna i numeri sotterrato dalla foga dei suoi, organizzare le iscrizioni è sempre qualcosa di semi punitivo. Carmine, stranamente, non vuole l’ora nemmeno una volta, e questo è un primato, la mia competenza è scandire il tempo anche se non ho l’orologio e ogni volta mi tocca inventare un orario plausibile - saranno le otto, sarà presto, sarà tardi, sarà. Mi piace inventarla l’ora, mi sento creativo. Roberto sta su un piede solo e fissa la sua ombra con la spalla calda di ringhiera condominiale. Lui che viene dalle arti marziali oggi si deve battere con tutti contemporaneamente e capirà che è diverso dal fare a botte con una persona sola. Lo capirà col tempo, non è il tipo da accettare consigli e spiegazioni. Per ora è un uomo arrotolato in una tuta e nella sua prima volta, la sua ombra rappresa dice questo. L’arrivo di Walter porta allegria e la nostra coreografia di massa si sposta al bar. Walter ha la riga e i capelli color terra ricci, pettinati come capelli color terra lisci. Massimiliano e Alessandro pur essendo abbastanza voluminosi se ne stanno in disparte riflessi nel pavimento lucido, assenti, concentrati. La cassiera ha una voce stonata e non ti viene di pensare a lei donna, piuttosto sembra qualcosa di buio come una tasca interna, qualcosa che non si vuole mostrare.Lo sfiato di vapore della macchina del caffè puzza di idromassaggio. Un proiettore illumina una coppa alle spalle del barista vinta in una gara di ballo. Nel nostro affanno leggero mentre soffiamo nella tazzina calda c’è qualcosa di pianificato. Siamo così affiatati che i nostri movimenti si somigliano tutti, anche i più banali. Credo sia una bella cosa. Massimiliano che se la passa meglio di tutti fisicamente controlla la porta e studia con aria meditativa i due frigoriferi accoppiati. La porta ha un rumore doloroso e il vetro opacizzato da un’insalata di marche di cioccolatini. Il sole triste e bellissimo si ficca nella sala dalla larga vetrata. Carmine mangiucchia la sua barretta energetica e legge la pagina sportiva sfigurata dall’alone diluito di una tazza di cappuccino. Più per noia che per bisogno di ossigeno usciamo camminando lungo il muro bianco e friabile. Le cornacchie sono gli unici uccelli riconoscibili grazie a un canto impressionante, il loro volo è un’immagine residua, vangoghiana. La pineta, ora, sembra una foto ingiallita scollata dall’album e capitata storta. Le cime degli alberi secche e ripiegate verso altre cime secche e ripiegate ingigantiscono blocchi di tristezza. Comunque gestibili, minori. Se allungo un braccio li tocco, la natura che è pure tanto bella, può diventare uno strumento devastante per lo spirito. Pronto soccorso le battute di Roberto, animatore vagabondo del gruppo, nessuno ci ha dato istruzioni per essere scortesi con lui, tutt’altro, e mettiamo impegno nelle risate. La nostra mentalità non vincente ci fa partire nelle ultime posizioni consapevoli che senza la pressione del risultato tutto funzionerà meglio. Giriamo a destra per via delle Capannelle, ci superano tre splendide ragazze bionde. Chiunque le guardi può essere trasformato in qualcosa di spiacevole, lo sento. Indispettiti dal fatto che la bellezza generale femminile presente in gara è molto nella norma, troppo nella norma, per ripicca le guardiamo. Al quinto chilometro Roberto scatta senza ragione, scatta come se gli avessero ficcato un chiodo da calzolaio in un occhio. Un sole lampadario proietta le nostre ombre all’interno della pineta, tutto il verde marginale racchiuso in un guanto da forno sprigiona odori mediterranei fuori traiettoria, fuori stagione. E ci fa sentire accuditi. Un drone da ricerca mi aiuta a raggiungere l’arrivo. Come butta ragazzo, me lo dice Luciano al tavolaccio del ristoro. Non so nemmeno se ha corso, ora distribuisce acqua, yogurth e mele. Torniamo a casa planando nel traffico condensato dai saldi e dalla bella giornata festiva. La guida veloce di Alessandro fa pensare a un incidente imminente. -Funziona la radio. -E certo, clik. Napul’ è mille culure, Napul’ è mille paure Napul’ è a voce de' creature che saglie chianu chianu E tu sai ca nun si sule.