La befana
I miei racconti on the road sono tutti simili, c’è sempre la strada e la gara.
Poche case e tanta campagna, tanto verde marginale intorno da scoperchiare.
C’è sempre una cassiera bella e apparentemente arida, ma con le ali , quelle nascoste, colorate.
C’è sempre Franco, corposo, ingenuo e generoso, per testimoniare quanto sia importante l’amicizia a qualsiasi latitudine e in qualsiasi momento.
Franco è buono come il pane, come la pasta, come i dolci fatti in casa.
Per questo è mio amico, e per questo partecipa alle mie avventure.
Ci sono altre apparizioni, altri comprimari accucciati tra gli eventi e sempre pronti ad apparire dietro ogni curva, dopo ogni salita o dopo discese abissali.
Quanto ci sia di vero e di fantasioso nei miei racconti, non lo svelerò mai.
La ragione è che sarei il primo ad essere deluso del mancato accadimento.
In me, in verità, c’è sempre la speranza che tutto accada.
C’era una volta…
un viale con un’alba solamente,
bianca come carta igienica,
uguale a quella del giorno prima e a quella del giorno dopo,
sempre la stessa.
Via Lemonia.
Non sono nemmeno le 7, siamo arrivati troppo presto io e Franco.
Sarà che quando gareggiamo insieme ci sentiamo fuori pericolo e anticipiamo i tempi per aumentare la durata di quella zona franca che è la gara.
Uno sputo di arcobaleno apre il sereno.
Più che runners, incartati nel cellofan di tute super acriliche, sembriamo due centurioni.
Grossi, grassi e nemmeno greci, romani.
Sono le sette e quaranta.
Che facciamo Tommà?
Non so, briscola o tresette?
Facciamo schifo, Tommà.
Vero, facciamo schifo. Ma perché?
Non so, mi è venuto di dirlo così, senza ragione apparente,
che senso ha arrivare alle 7, tre ore prima della partenza?
Dai, andiamo al Bar, piantala di fare il filosofo deprimente, e se proprio lo vuoi sapere..io sono in piedi dalle 5, non mi riesce di regolare la sveglia.
Sarà chiuso, il Bar, oggi è festa.
Se è chiuso torniamo qui, non ci perdiamo.
Un’ insegna striminzita con una lettera spenta ci fa da guida nel crepuscolo mattutino. B-A--.
La cassiera ha occhiali da vista e capelli neri come olio esausto.
Legge un tabulato corretto a matita rossa, senza alzare lo sguardo..
dica…
La sua arcigna incuriosità è poco ragionevole,
penserà d’essere uno scatto d’alta moda, una gran figa.
Essere evitati in quel modo, come una cacca di cane, ci fa bene e
chiedo serio…
due caffè, uno per me e uno per Franco.
Il prezzo.. è sempre lo stesso, anche con il nome,… sibila...
Se è gratis è una bella idea il caffè con il nome,..
.. ..e lo scrivete sulla tazzina o sullo zucchero?
Alza lo sguardo, ora, storce la bocca in un’espressione brutta come uno sbadiglio di sonno, ma non riesce a fare lo sguardo cattivo.
Cerca di farmi ridere?..non è facile di prima mattina, poi a quest’ora… non ci provi neppure per scherzo…
La prossima volta le passerò un biglietto, come il rapinatore silenzioso, con su scritto : per favore due caffè.
La guardo meglio, ha un’età circoncisa, tagliata dal trucco leggero. Indecifrabile.
Di sicuro non deve essere stata brutta da ragazza, ma ora il tempo ha soffiato nel vento quella briciola di bellezza che le restava e lei per ripicca si è fatta caustica con i clienti, occasionali.
Perché che ora è?
E’ appena passata l’alba.
Non la conosco. Se me la presenta.
Che?
L’alba.
Spostando lo scoscio(ammirevole) dalla gamba sinistra alla gamba destra nervosamente…
ma voi non dovete fare la gara?...e correte !..no?
Franco è già al banco e ride sotto i baffi, lui si nutre, si alimenta con le mie figuracce, con i miei duelli verbali e viene in mio aiuto mai, fossi pure moribondo.
Mi avvicino al mio caffè fumante. Dallo specchio vedo che la cassiera non mi stacca gli occhi di dosso. La mia antipatia deve aver folgorato quel che di buono è in lei, poco.
Non per disprezzare la storia, ma io in questo B-A-- dell’acquedotto romano non ci trovo nulla di speciale.
Usciamo in fila, io per ultimo e sulla schiena mi sbatte un arrivederci talmente sottile e strozzato che sembra uscito da un bucatino di pasta.
Mi giro e urlo: manca la lettera R all’insegna.
E’ stato un botto di Capodanno a spegnerla.
E a lei che botto l’ha spenta?
Mi affretto a raggiungere la strada prima che mi arrivi qualcosa in testa, dietro sento movimento, un tafferuglio di carta, sono in salvo da un probabile tiro di pagine gialle.
Fuori arrivano i nostri, i runners cittadini esondati per le piogge scorse dal greto del fiume di quartieri romani.
Franco, che non sottovaluta mai gli avversari, si accende una light in segno di sfida. E’ un grande stratega, viene dal burraco delle gite parrocchiali.
Coltiva uno sguardo assente, con l’occhio di chi non ha paura di niente. Non conosce freni inibitori né mediazioni, ma ad ogni boccata di fumo osserva me per essere approvato.
Poi, rompe gli indugi.
Ci scaldiamo Tò?
Con chi…sono tutte brutte stamattina e io duro poco se mi soffermo nei preliminari.
E dai!! non fare lo scemo.
O.k,.. ma un paio di chilometri in pianura e basta, cito nella postfazione
post B-A--.
Si due. Tanto la gara parte alle 10, faremo in tempo.
Non voglio rovinare la carriera dello speaker, ma gli tirerei qualcosa di pesante, come ai gatti in amore, qualcosa di ripieno per farlo stare zitto un momento.
Ha paura che il pubblico numeroso vada via o si addormenti e legge in continuazione, con voce alcolica, l’elenco dei migliori. Il pubblico numeroso è : 4 alpini, capitati lì chissà come, una ventina di parenti assortiti, due uomini con la tuta da benzinaio, altri due senza tuta, sei vigili urbani, un ragazzo, la ragazza del ragazzo, una donna con il culo amputato e giubbetto fosforescente con la scritta protezione civile.
Una piacente signora di mezza età, con il numero spillato alla meglio su una tetta, applaude rossa di felicità ad ogni nome. E’ tenerissima come il tonno in scatola.
Il rinculo di una 44 magnum a canna corta spedisce la fabbrica di campioni in testa, il resto preso dalle chiacchiere neppure sente il colpo di pistola, si sposta in avanti per inerzia, mancano i carrelli e manca il supermercato, ma l’andatura di chi sta dietro è quella a pagamento, lenta, da Roma Est.
L’odore di polvere da sparo cancella il mio stato anaffettivo, polemico, indecentemente scontento e sposta la mia vita portatile in un miscuglio di buon buonismo verso tutto quello che si muove, bipedi compresi.
Franco ha i copertoni nuovi, un probabile regalo delle ammiratrici, e lascia tracce gemelle di gomma adidas sull’asfalto .
Dura 500 metri il suo amplesso furibondo con la strada.
All’inizio di via di Capannelle già si gira a cercarmi, la nostra amicizia è più solida di ogni rapido innamoramento stradale.
Mi trova, e felice come una pasqua a natale mi corre addosso, sento il suo gomito sinistro ficcato nella cistifellea e l’odore delle sue spremiture di carbogel.
Una dama nera, giovane e bella, fa lo slalom tra di noi, per giocare in casa.
Dà l’idea di una che è stata sempre cullata e abbracciata da piccola e voglia ripetere l’esperienza da grande con tutto l’intorno, è molto carina, ha poco seno. Sparisce nel branco dei peggiori, avanti.
Via di Capannelle è una strada stupida, ..sale..scende, sale, scende…non sa che fare e oggi , stupidamente, si spiana.
Un fragoroso gruppo di Latina canta e corre. La loro allegria e il loro accento mi ricordano le mie origini contadine e il patimento di essere nato in provincia con la quale, in verità, mi sono ben presto riconciliato scoprendo l’enorme ricchezza di umanità che vi stazionava…mia nonna, mio nonno, mia zia Rosina , una capretta e un pugno di cugini emigrati in America (avrei dovuto dire un pugno di dollari).
Franco si accarezza le budella. Non è un gesto di tenerezza, ma dissenteria pura.
M’ha fatto male il caffè, Tommà.
T’ha fatto male la correzione di sambuca, ma quanto sei scemo.
Mi fermo, Tò.
Non t’azzardare, preferisco che te la fai sotto così ti iscrivo gratis ai cagasotto anonimi, quando torneremo a casa.
Scherzi sempre Tommà…ma io sto male.
Mi sta passando, prova ad urlare, imbalsamato.
Dai resisti.
La caserma dei vigili del fuoco è ben diversa da come l’avevo conosciuta io,
ci passiamo accanto….
Ricordo..
vuoi fare il pugile, tu?..
si.
quanti anni hai?..
quattordici a dicembre
vai a scuola?
si, primo ragioneria
così giovane?
sono un anno avanti
fumi?
no no
bevi caffè?
noooo
ti fai le seghe?
no
perché sei senza tuta?
mamma non sa che…
la tuta te la diamo noi, ma devi dirlo a casa
di che colore?
Blu
che è quella smorfia?...non ti piace quel colore, signorino?
No
qui abbiamo solo tute blu, mi dispiace
se vado bene potrò fare il pompiere?
si dice vigile del fuoco...io posso prepararti per il ring e basta
per me va bene.
hai paura dei pugni tu?
io non ho paura di niente
che sport hai fatto?
ping pong
ahahhahaha e dove?..a casa tua?
all’oratorio con Don Raffaele
lasciamo perdere..
dove abiti?
torrespaccata
hai mai fatto a botte per strada?
sempre..
e le prendi..
le prendo e le do
perché vuoi fare il pugile?..non si guadagna mica
per difendere i miei amici
uh…e a te chi ti difende?
a..a..me..non importa
(mi scendono le lacrime)
dai..tonto..mettiti sulla panca inclinata, fammi cento addominali
cento??
certo campione, cento e conta a voce alta, voglio sentire
va bene
quattordici..quin..dici…se…dici…uffffff...
sei di carta, non potrai mai fare il pugile, né il vigile del fuoco,
però mi piaci, sei educato, forse troppo buono per questo sport
torna domani e tagliati i capelli,
non esistono pugili con quei capelli
va bene mister..
e non chiamarmi mister, io sono Gino, Gino!
va bene, signor Gino
Gino e basta e mangia, sei troppo magro
Ehi voi…
la ragazza dello slalom ora è dietro, contenta come una gallina campagnola che ha appena fatto l’uovo dove nessuno mai lo potrà trovare, chiacchiera a vanvera con tutti.
Franco ha la faccia infelice di chi non è riuscito a trovare un gabinetto, ma parla e insegue. Insegue chiunque gli capiti vicino, una tattica autodistruttiva, per niente efficace.
Un chilometro al traguardo, un bel volo di beccaccini sottolinea la zona umida.
Un bel volo mio, sottolinea la zona fango.
Nessuno mi aiuta a rialzarmi, pensavo di sembrare più vecchio.
I dolorosi diverticoli di ogni curva sfilacciano la gente.
Siamo sotto la lunga dirittura della pineta.
Franco insensibile agli aghi dei pini cerca di convincermi disperatamente di una febbre improvvisa del giorno prima che gli ha tolto le forze.
Gli dico, con il penultimo fiato che mi rimane in gola: io ti voglio bene anche se ti inchiodi, non devi dimostrare nulla, non c’è bisogno, giuro.
Pur’iooooo!! giuro.. urla la rossa slalomista associandosi istantanea alla mia generosità d’animo.
Franco ha un’ espressione strana , metà di lui si commuove, l’altra metà vuole andare al gabinetto. Sembra la carcassa di un motorino rubato, senza ruote, senza sterzo, senza targa,… ma avanza.
I corridori si allontanano con in mano il ricco pacco gara: una mela golden, mezzo chilo di pasta, una merendina sbriciolata, una bottiglietta di acqua pura.
L’ Ibiza di Franco emette un rombo bestiale.
Accendo la radio e finiamo in musica:
Andarsene Così- Baustelle.
Un inno al suicidio per chi ha impiegato 55’, 30’’ per correre i 10chilometri.