Braccio offeso. Ho il jeans e la camicia del giorno prima, la camicia puzza di fila all’ufficio postale, è l’unica che mi sta bene. L’uomo seduto al Bar ha un braccio offeso e una giacca appena smacchiata, odora di trielina e cioccolato fuso incellofanati. Il braccio offeso accompagna le parole con la rotazione della spalla, un tic nervoso di una divertente tonalità. Tò il tuo amico Franco mi ha incaricato di dirti di aspettarlo. Solo questo ti ha detto. Solo questo. In alto un televisore vecchio modello trasmette senza audio. Nessuno guarda la tv. Una bava di luce illumina poco o niente in quella specie di padiglione senza finestre che è il bar. Posso offrirti qualcosa?...lo dico autoriscaldato da quella novità umana vista da vicino . Prendo una birra, se posso. Certo che puoi, ma a quest’ora di mattina non ti farà male? Sono abituato. Beve il bicchiere tutto d’un fiato. Si asciuga la bocca unta di schiuma. Si piega in avanti sullo sgabello abbraccia le ginocchia con la mano buona e comincia cullarsi avanti e indietro come per addormentarsi. Stai meglio con i capelli corti, somigli a tuo padre, Tò. Si vede che stò invecchiando (rido, poi mi azzittisco) (poi riparlo) Come fai a sapere che avevo i capelli lunghi? Non ci conosciamo. E che ne sai di papà? So, perché è con me. Non replico, sarà il matto del quartiere, penso. Voi correte vero? Si, corriamo. Tutte le domeniche? Tutte le domeniche. A lungo? Abbiamo un campionario di distanze, ogni volta ne cambiamo una. E’ come la vita, la corsa, cambiano le distanze ogni volta. Distanze da chi? Dalla famiglia, dal lavoro, dal successo, dagli amici, dalla salute. Confusione aggiunta alla confusione e non sai come dosare le forze. Lassù qualcuno comanda in questo modo, probabilmente vuole gente confusa. Comanda meno di quel che credi, Tò. L’angolo delle slot è un pollaio di facce brutte. Le slot no, sono belle, luminose con figure rotanti di frutta colorata. Tu come stai Tò? E come vuoi che stò, bene no? Bè so che hai avuto i tuoi problemi di salute. Sento il buco di uno spillo. Cavolo ne sai tu dei miei problemi?? Ma chi sei?...Con un braccio solo parli a me di problemi di salute? A me uno basta, l’altro sarebbe stato quasi inutile. Sarà, ma sei sempre uno storpio. Lo dico con cattiveria inaudita. Mi sorride. Un sorriso che rapprende tutto quello che è agitato in me, tanto da poterlo fare entrare in un lavandino monoblocco. Continua a parlami attraverso lo specchio, quello oltre le bottiglie di rum. Parole e sguardo rimbalzano e arrivano a me, a me e al mio corpo, entrano dentro il mio calco sfocato seduto, associabile per espressione a una foto segnaletica. Ascolta..quei due al tavolo stanno per uscire senza pagare il conto. Tu sei fuori di testa, amico mio, come puoi prevedere una cosa del genere, non ti bastano le cavolate che hai detto già?...O sei un veggente? E poi..per una brioche stantia e per un cappuccino nessuno li crocifiggerà. Due, Tò, e c’è chi è stato crocifisso per molto meno. Mi arriva una sensazione di calore alle tempie, una fiammata che mi impedisce di aggiungere altri segnali vocali. Vai da loro e digli di lasciare i soldi sul tavolo. Così mi mandano al diavolo o all’ospedale, ma questi sono dettagli per te. Il diavolo non c’entra. O.k… facciamoci queste quattro risate, anzi facciamocene otto. Nel frattempo i due si sono alzati dalle sedie, rumorosi masticano con le guance gonfie. Li raggiungo prima dell’uscita, rallentati da un quartetto di orientali che strizzano gli occhi strizzati , per il buio. Amici, dovete pagare quello che avete mangiato e che state mangiando. La mia voce sembra il miagolio di un gattino investito, bassa e stentata. Tu chi sei il padrone?..e poi la cassiera non c’è. ( Lo dicono con l’occhio alla mensola della cassa, vuota.) (Il cuore mi scende fino agli stinchi.) Non è un buon motivo per non pagare. Il calibro della voce è cambiato, si è normalizzato, e se devo dargli un colore: è scarlatto, un valore: è illegale. Quello più in carne mi sferra un manrovescio che si ferma a metà percorso. Braccio offeso che sta alle mie spalle lo blocca, non so con quale velocità, ma lo blocca. Gli stringe la mano che diventa scura come un tombino sotto la pioggia., Non abbiamo soldi, avevamo fame, non accadrà mai più. Andatevene prima che chiami la Polizia. Non abbiamo il permesso di soggiorno, per favore..no. Di dove siete? Maghreb. Tò..dammi qua venti euro, io non porto mai denaro con me. Anzi dammene quaranta. E lo sapevo, è il mio passatempo preferito offrire soldi agli extracomunitari . Dammi qua ho detto. O.k, do là. Non si chiamano extracomunitari, si chiamano amici. O.K, come dici tu, amici, ma…. I due incassano il regalo inaspettato e spariscono come missili spaziali. Comincio a studiarmi in maniera scientifica braccio offeso. Una potenza come la sua non l’avevo mai vista prima e poi quel modo di ragionare di convertire le cose storte, di raddrizzarle con facilità estrema… E’ biondo, pallido, capelli sfumati, corti, fronte concava invece che convessa, una gracilità da malnutrizione, occhi neri e strabici, un’età intorno ai trenta. Sul petto ha dei segni , sembrano frustate di più fruste o di una sola irregolare. Nonostante il caldo si stringe la camicia alla gola e abbottona la giacca color pannocchia con pannocchie disegnate. Chi ti ha ridotto così?..ho visto sai. Sono caduto dalla moto, non sono un bello spettacolo le mie ferite. Guidi la moto con una mano? Si. E ti sei fatto molto male? Io non mi faccio mai male. Un chicco si stacca da una pannocchia della giacca, la più verde, e cade sui miei jeans. Provo a raccoglierlo, non lo trovo più, forse è stata un’illusione ottica, forse un guasto temporaneo alla centralina della mia vista. Lui, ride. Il Lui mi è venuto maiuscolo perché inizia la frase, non mi piacciono i giochini eh, non scherzo su queste cose. Mi commuovo, non nel racconto, mi commuovo mentre lo scrivo. Preghi mai tu, Tò? Quasi mai. Anzi, mai, mi sa. Sono d’accordo, è una cazzata farlo (ride) . (Rido pure io) Sei un brav’uomo: Tò : sei bravo e se non preghi ci rimetto solo io. Fa niente. Ho commesso degli errori, non sono troppo bravo. Continua a commetterne. No. Non ne vuoi più fare? (ride) (rido pure io) Gli metto una mano sulla spalla, mi capita quella offesa, la mano non la tolgo, lo stringo a me. Torno a bere la birra,Tò. Io aspetto, aspetto Franco, qui fuori. Va bene. Non so dire se mi sento male o bene, sicuramente diverso. 5 minuti e Franco arriva, accompagnato da una colonna sonora di pianto infantile, il lamento di chi scambia la notte con il giorno e non ne vuole sapere di dormire. Porta ai piedi sandali di cuoio con i calzini scuri nemmeno troppo uguali e una maglietta con il logo della squadra. Scusa Tò, ma il pulmino della gita di mio figlio ha ritardato e non sapevo come avvertirti, tu non hai il cellulare. Tranquillo, già sapevo tutto. E come potevi?..che hai bevuto Tò? Solo caffè, abbiamo la gara, non me ne sono dimenticato. Ma neanche tutto questo caffè ti fa bene, sai, sei troppo strano. Il biondo, quello con il braccio offeso, mi ha avvisato. E’ la prima volta che metto piede qui, Tò, e per trovarlo questo bar sono diventato scemo. Chi questo buffone con il braccio offeso? Un biondo o una miss biondina? E’ seduto al bancone, ora lo chiamo e se non lo conosci te lo presento. Mi giro con un movimento seghettato, innaturale, robotizzato come quel ballo stupido di qualche anno fa. Braccio offeso non c’è, non c’è neppure la sua birra. C’è solo lo specchio dove mi parlava. C’è lo sgabello. C’è un affetto smodato per quel che resta di lui e per quel che non resta. Tò, è troppo carina questa storia, sembra inventata. Tò? Perché Lui non fuma? Perché ha smesso . (rido) A me molli sempre una sigaretta accesa nei racconti nemmeno fossi Humphrey Bogart, pensare che non ho mai fumato in vita mia. Però, Lui che fuma, mica male l’idea, la svilupperò. Tommmmmmmmmmmmmmmm!! Andiamo, oggi non ti capisco. Nemmeno io capisco me. E’ colpa della luce, Tò. Usciamo al chiaro., Qui dentro continuano a cadere le cose. Che cose? Ho sentito un rumore.