Roma By Night Run La notte diventa più vivida vicino alla partenza, uomini perlopiù in sovrappeso fissano i cronometri da polso. Le donne, in completi sgargianti, con il loro chiacchiericcio serale a stazioni sembrano aver trovato un modo mistico che trasformi la gara in un evento quasi religioso per rimanere buone amiche. Hanno tutte i calzini di spugna e profumano di nivea. Di bassa statura tendono a stare dritte come fusi mentre scandagliano un orizzonte che non esiste, con la fronte in finto controvento e le parti molli scarabocchiate di tatuaggi economici a cui è complicato dare un significato ragionevole. La lunga attesa trascorsa sotto il ponte della musica sta per finire. Abbiamo mangiato, ascoltato canzoni vintage dal vivo, ascoltato interviste. L’intervista più gradevole è quella a Franca Fiacconi che ha in mano la busta con il numero 1. Poco importa se alla fine sarà sesta, conosciamo tutti il suo palmares di valore planetario. Partenza tranquilla e percorso scorrevole. Un uomo suppergiù della mia età inciampa sul niente e cade dopo cinquecento metri. Resto intruppato nel buio in fondo, così posso far combaciare solitudine e sport, le mie due scelte preferite. Un’esplosione di colore il passaggio al MAXXI, la mia andatura lenta diventa quanto di più autobiografico esista. La troppa compassione che ho di me finisce quando riesco a entrare in un gruppo essenziale, me, Rita e Michele. Ascolto i loro discorsi e capisco che svolgono un lavoro importante in campo medico. Poi Michele allunga e Rita resta con l’unico paziente notturno a disposizione: me. Senza preoccuparci troppo del risultato finale, rotto il sigillo ermetico, ci raccontiamo. Rita tocca più argomenti, sport , vacanze , lavoro. Io cerco di rassicurarla con una narrazione piacevole e sincera di me. La confessione più scandalosa sarà che ventuno chilometri non li corro nemmeno in cartolina e che mi ha convinto a farli il mio amico Carmine della Podistica Solidarietà perché una mezza così insolita non si può evitare. Ai frequenti posti di ristoro aggiungiamo la sosta a qualche fontanella. Fino al quindicesimo chilometro il passo è regolare, 6,10 al km. Paradossalmente quando non si è ben preparati la regolarità diventa una spada nel fianco. Comincio a chiedere qualche metro camminato. La generosità di Rita non può essere infinita e dopo un po’ si allontana. Il paesaggio intorno a me riconquista il colore del cemento bagnato, scuro. Impiego più di un’ora a percorrere gli ultimi quattro chilometri. L’unico pubblico presente, qualche trans, diventa glaciazione e sconforto per le ultime energie rimaste. All’arrivo il mio amico Carmine sembra avere un’ espressione rancorosa verso di me. Mi annaffio la testa con un tubo di acqua gelata. Mi cambio nella tenda della Podistica Solidarietà dove sono rimasti tre zainetti. Sono andato troppo piano. Due ore e trentotto. Mi vergogno. Mi vergogno come quando papà comprò l’Opel Kadett verde pisello. In contanti, lui comprava solo in contanti, diceva che le rate erano una fregatura. Povero papà, quante gliene dico.