Vola Ciampino. La mia propaganda spirituale dei buoni sentimenti potrebbe arrestarsi. Non trovo giusto continuare a farcire con le mie foto scolorite dal tempo la freschezza dell’impresa contemporanea di una gara. L’imposizione di argomenti né colti, né intellettuali, ma scabrosamente personali, non deve soverchiare la narrativa nuda e cruda della recensione autentica. Ingannevole. Ogni parola importante è ingannevole. (Sostanzialmente sono un umorista e sto scherzando con me stesso, si capisce, no?) Passa troppo tempo nella sua testa, Annibale. Gli basta sentire la canzone sbagliata per deglutire, e deglutisce due volte. Automa di timidezza parla guardando il tappetino dell’auto come se avesse per interlocutore un uomo sotterraneo, non me. Fa caldo e l’auto si è riempita di insetti che volano, colpa della campagna, della primavera e del finestrino aperto. Campi di fiori giocattolo, margherite che hanno il colore delle margherite, croste arate, e un odore dolce. Cornacchie, tante cornacchie. Un orizzonte piatto e casto fino all’aeroporto. Senza perdere di vista il trofeo di una mosca catturata nel palmo della mano Annibale dice: -Abbiamo annullato due volte la decisione di allenarci e oggi mi pesano le ossa. -Se il tuo umore recupera la traiettoria giusta ti dico come farle pesare meno. -E come? -Non prenderla per predica, lo sai che sono contrario alle prediche: andremo piano. -Ma noi andiamo sempre piano.(ride) -Bè, un piano sovraccarico di piano. -Mi sembra una buona idea. -Lasciala andare. -Che? -La mosca, lasciala andare. -L’unico insetto per cui provo qualcosa dovrei lasciarlo andare? -E che provi? -Ribrezzo. (ride) -Pago la colazione se la lasci volare via e la mia opinione di te migliorerà per dieci anni successivi, anzi cinque. -Ci sto. In quattro e quattr’otto la mosca prende il volo schivando un camion che arriva dalla direzione opposta. -Oddio Tò, non capisco più quando sei serio e quando scherzi e questo mi spaventa. -Sono serio. Sentendosi ricco in anticipo di colazioni Annibale comincia a studiare il bar più grande, caro e luminoso di Ciampino e lo trova. Non ricordo quasi nulla della mia infanzia e quel poco sembra il ricordo di un’altra persona, non mi appartiene tutto, per Annibale non devo fare sforzi, è rimasto tale e quale, gli manca solo il cappellino a becco d’anatra e la maglietta di Pippo. Non credo ci sia bisogno di scrivere che siamo arrivati, ma siamo arrivati. Abbiamo trovato parcheggio e tanti corridori. Cominciamo una specie di riscaldamento liberatorio. -C’è il volantino sul muro, leggi i premi. -Una parola, non vedo. - Aspetta, in macchina ho gli occhiali che mi ha regalato mia madre. Ha detto voglio darti una cosa. Ha aperto un cassetto e c’erano gli occhiali. Che ci faccio, sono quelli di papà, li conosco, sono da vista, dico. Sono da lettura, dice. Non mi ricordo quale prima cosa ho fatto se andarmene in bagno a sciacquarmi il viso o leggere una riga di Guida TV quella che leggeva lui. Bè, fa mia madre, -ci leggi. Mi sono usciti fuori gli occhi dalle orbite e ho detto - ci leggo si. Che mi sarebbe bastato tipo fare quattro passi fuori e lei non si sarebbe accorta di quanto mi dispiaceva leggerci. Strano eh. Una questione di rispetto. -Scusami Tò. -E che scusa, lui non c’è più, e se non c’è più non c’è più. Sono quelle cose che non ti cambiano la vita, ti cambiano il modo di vederla. -Sei un brav’uomo, Tò. -Mica troppo bravo, voglio un caffè.(rido) Non l’avrei capito prima di entrare nel bar che quello fosse un bar, sembrava più un’agenzia di scommesse. Monitor dappertutto, facce tese, e una ragazza multitasking che accetta il gioco, lavora al bar, lavora alla cassa, sparecchia i tavolini, strofina i tavolini, strofina lo specchio. Un’ andatura a papera su tacchi traballanti la sua straordinariamente seduttiva per noi che siamo abituati a vedere ragazze stabili e numerate con scarpe di gomma e poco femminili calzini bianchi di spugna. -Sbrighiamo a andarcene Tò, non mi piace per niente questo posto. Dopo aver spostato la frangia a forchetta la ragazza invoca un: -prego. La nostra seconda merenda di mattina non va oltre due caffè e incolpandoci virtualmente di spendere poco ce li serve con ritardo e un’aria andina gelida. Gestiamo la trattativa dello scontrino con velocità e la ragazza a sorpresa ci stringe la mano - siete qui per la corsa, l’ho capito da come siete snelli, scusate il ritardo, qui dentro devo fare tutto io, nessuno mi dà una mano. Ci offre una sigaretta che rifiutiamo e usciamo. Annibale in preda a una specie di sollievo metamorfico grazie allo ‘snello’ torna indietro, afferra la sua estimatrice per un braccio e dice: -Magari non ti ricordi, ma al liceo avevo una cotta per te. -Devi aver ripetuto parecchio vista l’età e poi io ho fatto l’alberghiero. -Sarà, ma ci somigli forte. Aspetta un attimo, ne parliamo ti va? -Non mi va, ciao. Consapevole di aver sbagliato l’esame facoltativo o qualcosa di peggio mi raggiunge. Dopo un percorso a vanvera chiediamo a un anziano del posto dove sta la gara. Con una luce diabolica negli occhi e una serenità da intenditore risponde: -se non lo sapete voi. La strada inclinata ci accompagna da sola al gonfiabile della partenza. Gli amici ci aspettano da almeno mezz’ora. Per Roberto è la prima gara della vita. Resta vicino a me, non perché io sia il più saggio, ma il più lento si. Colpo di pistola. Tommaso il deus ex machina di Cat Sport ci tiene compagnia per un paio di chilometri. Gli unici con cui sei veramente libero di conversare sono gli estranei, ma Tommaso parla poco non per scelta, per affanno, e lo molliamo. Roberto è un alunno disciplinato e allegro, un piacevole compagno di fatica. Se ti metti in testa che ogni avversario è battibile provi pure a superare una bella signora riccia che dopo ogni sorpasso paradossalmente ti ritrovi davanti. Un’automobile alla quale improvvisamente tolgono i pistoni e dopo cinque minuti rimettono quelli di una Ferrari. Non sono bravo nel descrivere la gente in movimento, ma quei continui recuperi di Cristina, si chiama così, ci scombussolano. Ho la tutela di Roberto, adatto alla corsa e a i cambi di ritmo, non a sciropparsi questa lotta fratricida. Il melodramma di una leggera salita negli ultimi due chilometri lo superiamo con sobrietà apparente. La Ferrari sparisce alle spalle. Non rappresenta nulla per noi, però ci dispiace. Francone ci fotografa all’arrivo con affettuoso entusiasmo. Non lo spiegherò bene, ma sento dei passi femminili più vicini di vicino. -Avevate promesso di aspettarmi! Con spirito democratico rispondiamo in due : -noi? -Si, proprio voi. -Non ci siamo resi conto della nostra potenza nel finale, scusaci. -Ride Cristina, ride di noi, con simpatia. -Ammutoliti, solenni, scrupolosi, imbarazzati, restiamo in posa per un paio di minuti. La nostra nemica è amica. Più di tutti. Salvatore Gullo si distingue per classe e raffinatezza, lo raggiungiamo al quarto chilometro. Perché lo racconto? Perché lui è marciatore. Massimiliano, Alessandro e Valter li vedo sempre alla partenza e all’arrivo. Il gape non mi dispiace, gli voglio bene e li stimo. Saluto Mauro Bartocci e Maria Rita, vincitori a raffica. Saluto Maurizio Mastrofrancesco mio ex allenatore e ex estimatore. All’arrivo ha urlato forza secco! (non si ricorda più il mio nome e il mio peso) Abbraccio Francone amico generoso e commovente. Ci ha pagato il caffè.