Due personaggi che non raccontano niente.
Un incontro muto, quasi sgradevole.
Due con i modi bruschi, da timidi.
Due provinciali con la faccia tagliata con la scure,
bruciata dal freddo tardivo invernale,
la pelle ruvida e gli occhi chiari come il gesso.
Due amici che hanno fatto fiasco con l’amicizia.
Una bibita energetica , cominciata, trascinata a mano.
L’ombra malinconica di uno stupido litigio, e
la decisione di correre ognuno per proprio conto.
A Ciampino.
L’età di Franco varia, a volte è un ventenne, a volte un quarantenne, a volte un bambino.
Si è offeso per una volata, per ..100 metri.. di distanza, come se l’amicizia, quella vera fosse
fatta di metri, di distanze.
Siamo quasi in duemila.
La confusione, attenua la tenebra del volto.
Due vasi, due bicchieri, due bottiglie, due brocche(i), senza luce nè ombra.
Natura morta, strana.
I saluti beffardi dei compagni di squadra alimentano il nostro inferno.
Provano gli amici ad accendere i riflettori a dare luce mirata,
come moderni Caravaggio.
C’è troppa nebbia.
Io e Franco, la crème de la crème, ridotti a poltiglia, a fango.
Ho voglia di andarmene via da qui fosse pure per accendere la lavatrice, andare al
supermarket, dal barbiere.
Voglio essere un album con una figurina sola.
Una caffettiera da una tazza sola.
Voglio.
Dicono che ..la Gara.. è un posto senza recinzioni e senza nemici.
Dicono pure che la velocità è un’estensione di se stessi.
Un modo efficace per essere irresistibili ed affascinanti agli occhi delle donne, del mondo.
Essere veloci significa essere maschi e vincenti.
Dicono.
Mi ricordo di amici che non ti parlavano per settimane se ti azzardavi a batterli in gara,
qualcuno soffriva addirittura le volate, perse, in allenamento.
Per essere simpatico, per fare felici tutti, devi essere zavorra, un eterno battuto.
Allora ti ritrovi cento mani sulla spalla, ti coccolano, ti offrono il caffè, sei il coglione di turno
che va piano e mette allegria, rasserena.
Alla partenza, sul ponte della ferrovia, c’è un colore extraurbano divertente, un grigio
acrobatico mischiato a un ocra spento dal tempo, profumato di paese.
Il sogno di Ranieri Carenza, un campione con i fiocchi, funziona da diversi anni, dal tempo
della sua invenzione : portare una Gara importante in un posto dove volano gli aeroplani.
La strada è strangolata dalle auto in sosta e da un pubblico ossessivamente caloroso.
Millequattrocento iscritti, e dove stanno?
Datemi un telecomando, voglio attivarli, sono pochi quelli che vedo in giro.
E’ ancora presto Tommà, arriveranno.
Il gesto minimo, vocale, di Franco mi rasserena.
Siamo ancora in lite, ma va meglio.
E’ una bella giornata.
E’ proprio una bella giornata.
Fisso l’intorno.
Un pino, un mandorlo in fiore, un pino, un albero in fiore, forse ciliegio.
La ferrovia.
Andiamo al Bar, offro io.
Ma si, tanto è così presto.
Apre il portafogli arancione per strada.
Più carta che soldi, Franco.
Scontrini, bollette da pagare, ricevute, carta, tanta carta, tesserino, tesserino, e foto, tante foto.
C’è sempre gente che si diverte nelle foto che ha, gente che ride in ogni situazione.
La gita sulla neve, riconosco lui, dietro.
La gita al mare, riconosco lui, dietro.
Ballo in maschera, lui seduto, dietro.
E’ troppo buono Franco, sta sempre dietro, da spazio a tutti pure nelle foto.
Guardo il panorama per vincere una piccola commozione.
Non mi riesce proprio di portargli rancore.
Ciampino città, ossimoro di se stessa è incendiata da un sole ficcante,
evaporano profumi di paese.
Qualche rovina c’è pure a Ciampino, non sottovalutiamo....
Qualche maceria c’è.
I fili per il bucato ci sono, come no? … nei cortili interni, ma ci sono.
Nella traverse strette settori olfattivi di cucinato, sugo, pasta e fagioli, tortiere imburrate
e quelle facce belle , rosolate dal freddo, di bambini sparpagliati a giocare come fiori di campo.
Vola Ciampino è una festa.
Qui è tutto bello, oggi.
Qui è tutto verde, e se non è verde,
poco ci manca.
Troviamo un Bar aperto distante dal posto di raduno.
Un Bar grande, poco frequentato, dalle parti di viale Kennedy.
La cassiera, c’è…sta nel pacchetto gara, pure lei.
Arrabbiata non perché non siamo ritornati, ma perché lo siamo.
Sembra uno scherzo, è sempre la stessa. Ripetitiva rotazione umana.
La scriminatura dei capelli dritta come un fuso, nera.
La pelle sottile, trasparente, bianca.
La bocca bella come una bocca bella.
Non è solamente una donna piacevole, è come se 100 donne piacevoli si fossero radunate,
messe d’accordo e ognuna avesse offerto in palio la parte migliore.
Lei è fatta di tante parti migliori assemblate.
Ci saluta senza fronzoli.
Avete litigato, vero?..siete due bambini, vi si legge in faccia.
Siamo in due e la nostra natura, per quanto indisciplinata, ci fa contare.
Si accosta alla mia tuta, non a me, mi toglie un pelino dal petto, un gesto affettuoso che
non consola il consolabile.
Davanti ha un nido di vipere di liquirizia, lunghe sottili e attorcigliate, nere.
A destra un boccale per la birra con dentro un mazzetto di margherite bianche, appassite.
A sinistra una ciotola con un‘ insalatina di cioccolatini.
Si piega , indietro sprimacciando la sedia, il ciuffo moro sciabola sul pallore della fronte : vi
ricordate l’ultima volta che siete stati qui, vi ricordate?
Ecco, oggi non fatemi perdere la pazienza e ditemi subito cosa volete, tanto ho capito che vi gira.
Vi voglio bene, cavolo, ma non fatemi perdere la pazienza.
Questa notte sono morta dal freddo, ho la caldaia rotta e ho dormito con un camion
di coperte addosso da non poter muovere braccia e gambe.
Mi fa male tutto, completamente.
Quelli sono i dolori della crescita, quando si cresce qualcosa fa sempre male… spalma Franco
sul Bar quasi deserto con voce roca, strana, sembra l’Hendrix rigenerato, una vecchia novità discografica.
E a voi il cervellino non fa male, vero?..non vi è cresciuto per niente.
Siamo venuti solo per salutarla, quant’è cattiva.
Ma che gentili, a salutare me? ma veramente?
E si, risponde rosso in viso Franco per il mezzo chilo di bugia.
Ragazzi, dobbiamo volerci bene tra di noi,
non dobbiamo fare altro che volerci bene tra di noi.
Questo si deve fare, non litigate.
L’ho letto su una rivista importante.
Postalmarket…o Grand Hotel?
Si toglie , anzi si strappa gli occhiali civettuoli.
Cambiando tono di voce e fissando un punto lontanissimo davanti a se:
coraggio,
cosa prendete?
che- io- ho- da- fare.
Se accettate i buoni pasto, due.
Due che?
Due caffè, uno per me e uno per Tommi.
Non serve specificare.
Serve…serve, l’altra volta hanno mischiato le tazzine.
E’ un genio comico, il ragazzo, ha talento..un incanto comico …ma per piacere!!......
…e...e......
come vi siete vestiti?.. scappati dall’ospedale o dal manicomio?
( ride)(finalmente)
Franco, non l’avevo visto mai così: serra i denti, gonfia il naso e lo arriccia come un somaro in
trip di aceto balsamico : è la nostra tuta sociale, questa!..e ne siamo orgogliosi e fieri.
A si?..e in quale reparto siete orgogliosamente ricoverati?..vi vedo belli grassi,
si mangia bene bene, vero?
Spiazzati da quella mappatura nutrizionale grottesca, stiamo zitti.
Non eravamo preparati ad essere attaccati e il Bar diventa la nostra Pearl Harbour.
Andiamocene Tommà, non lo voglio più il caffè.
Piccolino lui..si è offeso.
Forza, questo è lo scontrino, ve lo offro io il caffè, oggi mi sento buona e generosa.
Il micro massaggio cerebrale migliorativo ci viene servito su di un vassoio di argilla.
Inutile romperlo, accettiamo lo scontrino pagato senza reazioni apparenti.
Franco rimette in tasca il portafogli arancione.
La guardo meglio, ora.
Lo so l’avevo già guardata, è un ripasso.
Ha gli occhi neri come il nero, una virgola fittizia delle ciglia si allunga fino alle tempie.
Però, bella la tua maglietta!!-------(l’eco mi sbatte per terra come onda anomala).
Tutte le mie riflessioni pessimistiche depressive, azzerate.
Altro che umanità arrangiaticcia, oggi è proprio buona con noi.
Se ti piace te ne regalo una devo solo prenderla in macchina e scegliere il colore.
Che taglia hai?
La quarta.
Franco avvampa.
Io calcolo i bisogni elementari e li eseguo: respirare, tenere gli occhi aperti e ingoiare saliva.
Taglia di maglietta…non di…, riesco a replicare.
Ah.. scusatemi, ho una media. Si alza dalla sedia.
La formula vintage del suo corpo è vincente.
La gonna le è rimasta appiccicata sopra le ginocchia e io sono uomo del sud del sud.
Franco, del sud del sud del sud.
I nostri mattoncini emotivi saltano in padella, friggono.
La gonna scende…. e tutto si normalizza. Più o meno.
Abbiamo dimenticato la gara, in maniera completa.
Una voce amplificata urla: 5minuti alla partenza.
Ogni pensiero ne resta lacerato.
Buona gara, allora ragazzi.
Ragazzi? …mah.. non vede bene.
Aggiunge un ciao a mano, imitando il movimento del tergi lunotto posteriore delle automobili.
Ne scaturisce tenerezza e vibrazione ondulatoria, sua, che non sto a descrivere per colpa della
fascia protetta.
Abbiamo il caffè davanti e nessuna voglia di berlo.
Usciamo, sperando che ci sia sempre un altrove che risolva la nostra vita e i nostri pirotecnici turbamenti.
Fuori non succede niente, ancora.
Ci spostiamo con difficoltà nella folla sabbiosa fino alla partenza.
Ho cancellato due o tre avverbi, Emingway dice che appesantiscono il racconto,
ma non posso cancellare la descrizione di Franco.
E’ un Avatar, magro e alto come mai, strano.
La cassiera con ciglia allungate lo sta abitando, è dentro di lui, si è impossessata di lui, gli è rimasta dentro.
Sembra un dipinto, non un uomo, Franco.
Ha cambiato pure colore, è celeste.
Tira su con il naso un raffreddore inventato.
La gara parte senza di noi.
La rincorriamo, come sempre.
Ci buttiamo giù dal ponte.
Giù, intendo in discesa. ….....
Piombo è morto, papà.
Il pesce.
Il pesciolino rosso.
Quello..delle giostre?
Quello.
Te lo ricompra, papà,
dai.. non è niente.
Non si ricomprano i morti,
voglio Piombo vivo.
Stava a fondo, Piombo.
Troppo a fondo ….
L’asfalto si capovolge, e si sale.
Si accoda Nazzareno, un caro amico del Poligrafico.
Si accoda un ragazzo di colore.
Fratello, tu devi stare avanti,
quelli come te stanno tutti avanti.
Non sono allenato, ho lavorato sempre.
Ma non siete in sciopero?
Si, ma io ho lavorato altrimenti mi avrebbero licenziato,
sto in un ristorante.
E poi sciopero per cosa? ..per dire che siamo anche noi uomini?
E che non lo sanno che siamo uomini?
Io e Franco ci guardiamo, non sappiamo cosa dire.
C’è in noi un misto di fatica e vergogna.
Di dove sei?
Camerun.
Ti chiami?
Vincent.
Come Van Gogh, sorride Franco.
Si, mio padre è appassionato d’arte e pazzo come lui.
Sei da tanto tempo qui?
Sei mesi.
La gara diventa un optional, siamo affascinati dal racconto di Vincent,
dalla sua umanità.
Ho percorso 2000 chilometri.. di deserto su un camion che andava a venti all’ora.
Poca acqua, poco cibo, caldo e freddo.
Ogni tanto ci fermavano e ci chiedevano soldi per ripartire.
Io già ne avevo pochi.
Ogni tanto il motore del camion si rompeva.
Arrivato in Libia non avevo più nulla, solo gli abiti addosso e dieci euro.
La polizia non è tanto buona, neppure lì.
Per niente buona, specialmente con le donne.
Non riuscivo a imbarcarmi e avevo sempre paura che mi mettessero in prigione. …
Siamo alle spalle di viale Kennedy, Franco interrompe Vincent per darci qualche notizia
turistica : io abito lì.
Quello accanto è il Colosseo di Ciampino, così lo chiamano… un antico monastero
che nessuno sente il bisogno di restaurare.
Una splendida signora mora, protettiva stringe un passeggino con un bimbo che dorme.
Ci saluta. Franco ha vapori di felicità: quella è Anna mia moglie.
Una bimbetta dolcissima ci scatta una foto,… e quella è mia figlia, ha otto anni.
Nazzareno pensa solo alla gara e a batterci, allunga il passo e ci stacca con arroganza.
Il racconto di Vincent non è finito e non siamo stanchi
né di correre né di ascoltarlo. …
Dopo tre mesi incontro uno zio e lui mi aiuta ad imbarcarmi.
Una barca piccola, vecchia, una barca da pesca.
Partiamo in duecento e arriviamo tutti vivi, per fortuna.
Dove?
In Sicilia.
E hai avuto problemi poi?
Sbarco notturno, qualche metro a nuoto con l’acqua fredda,
poi ognuno per la propria strada.
Il tormento di una curva e di una nuova salita.
Un prato, a destra, mostra avanzi di archeologia industriale, un capannone con cancello
divelto addobbato da writers da strapazzo con palle di Natale gigantesche, tubi di ferro
accatastati, un motorino rubato, scarnificato, un forno per la pizza spaccato in due.
Qualche innocente fogliolina dentellata di cicoria, un vero miracolo botanico tra tanto
abbandono, cerca di restituire un certo equilibrio al panorama.
Viale Kennedy è infinito.
Franco mi vede sofferente, mi spinge per il gomito.
Già si vede gente, l’applauso della gente.
L’arrivo arriva.
Franco mi tende la mano per tagliarlo insieme.
Gli dico no, ho già scritto che avresti vinto la volata, non farmi cambiare troppe cose del racconto.
Passato il traguardo c’è la consegna del chip.
Vincent rimane vicino a noi, ha lo stesso smarrimento della sua storia
e ferite non rimarginabili.
Franco lo prende per un braccio,
… andiamo al Bar, amico, offro io .
Noooooo, ancora al Bar, no.
E dai Tommà, che sarà mai.
Va bene ma cambiamo posto.
Tanto la cassiera c’è sempre, cosa credi?.. li scrivi tu i tuoi racconti, mica io.
Allora andiamo al Bar in Camerun, vero Vincent?
Vincent sorride.
Franco un po’ meno.
..sta pure lì, Tommà.....