Vola Ciampino 2011. Se comincerò a scrivere sul serio vi racconterò qualcosa, nulla di avvincente non voglio questa responsabilità, qualcosa così….. …decapitata ogni fantasia, il titolista intitola quel bar su viale Kennedy, Bar Kennedy. L’appuntamento è lì. Aspetto dieci minuti, bevo un caffè. Poi attraverso l’immagine dei miei amici svanita e raggiungo la partenza, proprio sotto il Comune. Non sono molto felice di stare qui per la poca forma e per l’ora legale. Nemmeno posso pensare con nostalgia a qualche Vola Ciampino passata corsa velocemente, sono andato veloce e mi basta saperlo, basta così. Pensarci è come estrarre un chiodo arrugginito, poi non sai che farne. Faccio un po’ di surf sulle centinaia di corpi lisciati di vaselina e trovo Salvatore un amico presidente RomEstrunnerizzato e intutato, non partente, ma sorridente. Le Gare hanno la stessa attrazione dei centri commerciali, la gente si sente al sicuro, nessuno può investirti, rapinarti, hai tutti i confort, assistenza e puoi fare pipì. Se sei fortunato, vinci pure qualcosa. Ecco la ragione del loro successo. Più siamo, meglio stiamo. Mi appoggio al muretto del ponte sula ferrovia. Nel dipinto del volto di un bel giovanotto che una ragazza e un uomo hanno sulla maglietta c’è l’identico sorriso. In loro l’identico dolore. Quello che colpisce è il testo. Mi avvicino, e chiedo. Mi guarda triste, la ragazza, si scosta i capelli dal viso e dice: no, lui non correva. Il bianco intorno e la scritta mi fanno pensare a un cruciverba facilitato dove il volto è stato già indovinato dalla sfortuna. Trovo Elisa, una mia amica carinissima di Nettuno. Mi fa un sorriso rosso di rossetto accoppiato alla sua vocetta delicata. Mi piace il suo modo di parlare e quel suo sguardo sospeso e sorpreso. Elisa con l’associazione- Spiragli di Luce- si occupa da sempre di ragazzi in difficoltà, anche con grave handicap. Li fa nuotare in piscina, li porta a cavallo nella pineta della Campana di Nettuno, li fa giocare a pallavolo nella palestra scolastica coinvolgendoli in allegri e formativi mini tornei. Elisa trova pure il tempo e la forza di organizzare ogni anno a giugno un diecimila molto ben frequentato . Di Franco non c’è traccia. Mi sta venendo un mal di testa da sovraccarico di gente, mi sento pressato. Provo a indietreggiare sfregando il meno possibile i corpi delle runners, non è facile, è tutto compresso, amputato di spazi. Dietro, lontano dal pallone blu, i discorsi sono diversi, c’è meno agonismo, meno fibrillazione. Due signore, molto curate, parlano di ricette marinare. Due uomini, da curare, di sport estremi. Due ragazzi, incurabili, di Facebook. Provo ad ascoltare con la consapevolezza di non perdermi nulla di fondamentale. Il mio tirocinio dura pochi minuti, parte a sorpresa l’Inno di Mameli. Tutti cantano. Io no, sono stonato. Mi ripasso a memoria il -Godbye malinconia- di Caparezza con l’aggiunta del faccione di Tony. La classificazione barocca di dividere gli atleti per categorie mal funziona, si osservano con sguardo fritto ed ostilità esagerata anche durante l’inno. Finito, si parte in discesa e si gira a sinistra tra le urla dei parenti lavorati dal bel sole marzolino,dai marciapiedi angusti e da un servizio d’ordine militaresco. Il panorama è : una sfilza di edifici color pannocchia, qualche villino agreste color aratura fresca e una rotonda sverniciata con progetto di giardino da progettare. Con l’occhio allenato alla competizione mi giro per studiare eventuali avversari dietro. Ne vedo uno, imponente, bianco: l’ambulanza. Meglio così, non sopporto la violenza interumana e se devo combattere con una lettiga è meglio. Mi trovo uno scalzacani di compagno, uno che somiglia a un mio compagno di classe che mi picchiava da bambino. Corre con la felicità di chi rovista nei rifiuti e trova roba rifiutata. Mi racconta dei suoi inizi, io gli racconto della mia fine. Ha un’improvvisa epistassi emotiva nasale. Non l’ho colpito io, si arresta, c’è la comodità dell’ambulanza, la sfrutta. Passiamo accanto agli aeroplani. Passiamo accanto alla pista liscissima. Un regista dilettante con camera ci riprende camminando all’indietro e s’arresta su una ringhiera. Una ragazza ci saluta con mano dal giardino costellato di nani colorati e lenzuola stese. Ha vicino una sedia a sdraio. Metà della casa ha le finestre chiuse con il tufo, una sprangata, il prato dietro un viluppo di filo spinato è per metà asfaltato. Una woman in black dell’LBM urla … evviva 5 km fatti! Ha l’aria di una che da giovane ascoltava Lennon. Guardo la bandiera alla quale non attribuisco nessun significato chilometrico, guardo l’orologio e dico: signora ancora dobbiamo passare il terzo chilometro, mi spiace. Con occhi di fuoco, similoffesa, no no..ho visto la bandiera con scritto -5. L’ ha solo immaginata, anzi le dico che quel -5 è lo sconto del benzinaio, sono centesimi, non chilometri. Parlo con sguardo asessuato e consapevolezza talmudica. Allunga il passo comunque,e… dopo pochi metri arriva la bandierina sventolante del terzo chilometro. Nemmeno mi godo uno straccio di vittoria morale, la signora è in fuga, avanti. La bellezza struggente di un verde primaverile pieno di salute non ha nessunissimo effetto sulla colonna dei runners attenta al percorso, meno attenta a ragionarci sopra. Un team di ragazzi tatuati e con piercing sparsi per tutto il corpo visibile, applaude. Ho sempre creduto nei giovani, tutti, anche in quelli con gli occhi strizzati dal fumo. Quando corro ho sempre in mente l’immagine di me da ragazzo. Ero come loro. La bella gara spacca Ciampino prosegue senza colpi di scena. Acqua fresca al settimo. Osservo il mio bicchiere con lente monoculare da gioielliere, c’è una goccia (d’acqua). Ristoro prezioso e minimale. Sotto stress da iperdecibelazione mi allargo sugli urli dei sostenitori poco narcotizzati. Cercando il lato del percorso meno rumoroso urto una spettatrice che mi guarda con sguardo neutro. Evito, con dolore, di consigliarle i benefici di una migliore attività sessuale, non è brutta per niente. Quando arriva il momento di raggiungere il traguardo, Tommaso, un mio omonimo più magro e con occhio spietato, spreme il figlio, alla sua prima gara e al suo primo finale. Non comprendo la ragione della spremitura. Il ragazzo, molto in carne e con canottiera bianca da combattente non ha avversari da battere, se non quel padre pignolo ed esigente e la ribalta avvilente degli ultimi arrivati. Passato il traguardo urla pure la mamma. Vado verso il posto di ristoro gestendo alla meno peggio il momento di spossatezza distribuita e trovo una specie di rissa da ricreazione davanti alle bevande. Andiamo al Bar Tò. Levati da questa folla. Offro io. Mi giro e vedo Franco….disgraziato, dove stavi imboscato? Ero avanti, Tò, volevo correre bene per dimenticare la maratona di domenica scorsa e la flebo d’acqua e sale. Non so proprio dove ho sbagliato, ma è andata così. Dai, non ci pensare. Le maratone non sono tutte uguali, ognuna è un episodio a se, la prossima andrà meglio, garantisco io. Era la mia prima, Tò, ci tenevo….e ci credevo. Gli altri straripano di adrenalina in gara, Franco no. Lui non vuole mai vincere e se si accorge che qualcuno perde, lo sostiene. Purtroppo non sa sostenere se stesso, è’ troppo pesante… Non mi ricordo nemmeno dove ci siamo conosciuti, forse in qualche Presepe, in qualche gara con la Stella Cometa, in qualche libro cuore, da qualche parte buona, sicuro. Alla cassa c’è una ragazza sveglia e pettoruta, per abbatterla nelle sue sicurezze chiedo: due bicchieri di spuma e tre sigarette sciolte. Eh? Due caffè e una bottiglietta d’acqua, scherzavo. ( il fratello nel frattempo si era avvicinato)(con la faccia più brutta della mia) Franco paga e mi racconta l’incontro con una sorta di dottor House dopo il traguardo maratona. Un dottore duro , ma competente. Tò, non ci vedevo, avevo brividi di freddo, mi veniva da vomitare…ma sono arrivato, in 5 ore e mezzo, sono arrivato, solo, sono arrivato. Sta storia di sentirsi soli tra la folla è una grande boiata. Ma chi l’ha inventata? Mbè..mi sentivo espulso dal mio corpo, proprio solo no, ma sono riuscito comunque a raggiungere il punto di soccorso medico, non volevo farmi vedere da mia moglie in quelle condizioni… …e mi dicono: compili il modulo con nome cognome e il resto, una specie di triage sportivo. Non ci vedo, dico, non riesco nemmeno a bere, a parlare, figuriamoci a scrivere, datemi qualcosa! Se le diamo qualcosa ci vomiterà addosso, le facciamo una flebo di acqua e sale. Tò, me la sono vista brutta, per fortuna l’acqua e sale hanno funzionato. --Il sole è una potenza, oggi, respinge un mestolo di nuvole fumanti. Rumina, il sole, questo suo splendore.-- Ricominci con le poesie casarecce, dei poveri? Voglio dire che se un giorno mi dovessi accorgere d’essere superato da tutti, di stare male. Che farai? Guarderò in alto, al sole. Mah… Ma che? Entro nel fiordo tra la portiera aperta e il sedile. Tu resti qui? Io ci vivo qui. Solito? Insolito. Avete da bere? Se questo le sembra un bar..qualcosina dovremmo avere. Bene, due bicchieri di spuma e tre sigarette sciolte. La signora guarda Franco, guarda me, guarda in alto . Siamo mica al paese eh. Ma davvero?