Collatino. Scrivere un racconto breve non significa scriverlo in breve tempo. Posso impiegare un‘ora, un giorno, un anno. Posso metterci felicità. Posso metterci centocinquanta tristezze. A volte penso pure che quello che mi esce fuori dalla testa esce sbagliato, ma lo lascio tale e quale. La corsa è fatta di corsa, la mia vita non può vivere senza di lei. Aiutato da un carneade,Carlo, sveglio e vitale, racconterò quel che è accaduto al Collatino, lo racconterò senza fabbricare nessun rumore, in punta di piedi, tra l’autentico e il surreale, un’antinomia che aiuta la mia febbre di migliorare. E comincia la storia. Se indico con il dito a Gina, la mia cagnetta, qualcosa, lei non guarda qualcosa, guarda il mio dito . Questa è la tenera ingenuità dei cani e un cane non si lascia mai solo proprio per non sprecare il proverbio e mantenerlo per quando ci tornerà utile citarlo. Gina, oggi è con noi. Quota orario : un pizzico prima delle otto. Strada libera con una riduzione di traffico inattesa, un brodo ristretto di velocità. Dal finestrino appannato dalla leggera foschia una campagna spogliata, alberi nani amputati da potature tardive, senza foglie, un grattacielo nano pure lui, a specchio, case, tremolanti, il luccichio di una piscina di case. La guardabilità umana dell’intorno è molto pittoresca e molto adiacente, il raduno dei runners è in una via stretta in discesa con asfalto consumato e con supplemento di Auchan , un piccolo centro commerciale buono per parcheggiare. Panni stesi, balconi con finestre a scomparsa aperte al chiasso corsaiolo, profumi di mimose premature, di sughi saporiti domenicali. Un quartiere di prima classe il Collatino, un posto dove le faccende vanno avanti come una volta. La cedolare secca dell’iscrizione costa otto euro, in cambio un asciugamano grande, colorato. Carlo mimetizza la sua stanchezza anticipata con gesti compulsivi e voce megafonica. Poi la smette di parlare così perché gli ordino di smettere di parlare così . Intervengo sottovoce. Come stiamo a droghe? Ho un thermos di caffè caldo. E basta? Due merendine. Che gusto? Girelle, erano in offerta. Puah…(e rido). Chi ci ha invitato qui? Nessuno. E allora??...ce ne possiamo andare, già mi sconfinfera poco fare la gara. Sei proprio matto, Tò. Chiudo lo sportello dell’auto con un colpo d’anca, alla Elvis. Realizzato di non avere invito possiamo pensare al momento successivo: imbucarci nella gara e cominciare il riscaldamento .I fumatori accaniti dicono: posso smettere quando voglio, per il riscaldamento vale la stessa idea. Al nostro progetto sensato si unisce un team di avvoltoi in completo black della nostra stessa squadra, pronto ad essere gentile, ora, pronto a superarci, poi. Gina, la recluta, annusa il percorso palmo a palmo nella speranza che qualche aroma stimoli la sua diuresi. Fa riposare le narici solo nelle pause dedicate ai saluti, alle strette di mano, osservando il pinzimonio di volti sconosciuti oliati, con rughe di stupore, Gina le ha. Mi viene in mente una cosa che ho letto giovedì…nel bel libro di Rosa Matteucci, scrittrice giovane, fresca, vitale. --A mia madre era sopravvissuto il cane, vecchio, con la pelliccetta rovinata e spelacchiata, i bordi delle orecchie smangiati, e quello è stato il dolore più grande, uno strazio. Cagnolino non voleva crepare e sono addirittura arrivata al punto di pensare, in un delirio, di investirlo come per fatale distrazione con l’auto, tipo durante le imbranate manovre di retromarcia. Il cane finisce spiaccicato, ma muore subito e non soffre. Ma dallo specchietto non distinguevo un ciufolo, non capivo dove stava il cane, avevo le lenti degli occhiali appannate dalle lacrime che mi sgorgavano grosse come acini di zibibbo , cosicchè dopo mi sono dovuta cambiare i pantaloni che avevo tutte le cosce bagnate. Con il cane, che non si era accorto del mio piano criminale, abbiamo fatto merenda con pane, burro e marmellata.------------------------------ Indifferente alle mie elucubrazioni mentali, coinvolto emotivamente dal suo archeologico cellulare, Carlo digita dei numeri. Non mi sembra il momento opportuno per telefonare… perdiamo la concentrazione, non trovi? Sto donando due euro, Tò, porta fortuna. Due euro a chi? Nemmeno mi ricordo…. ricordo solo il numero… l’ho sentito su radio Deejay un’associazione per la lotta…(e si impappina). Mah… Che hai da dire? Niente. No, ora mi dici, e dici alla mia faccia non al pavimento. Se ti senti l’anima in pace regalando due euro, il prezzo di una votazione al Grande Fratello, va bene, va bene il risparmio economico ed emotivo. Tò, io se potessi farei di più, mi conosci… certo che ti conosco, so di avere un atteggiamento critico su molte cose, ma questa storia dei due euro mi manda ai pazzi, un furto alla vera generosità e alla vera gente sofferente. E chi sarebbe questa gente sofferente? Vuoi un elenco?..o.k..te lo ordino con una mia priorità personale: zingari. E basta? Si, per ora ho in mente loro. Per esempio qualcuno ha mai offerto 2 euro ai Rom? Quelli non hanno voglia di far niente, rubano e sono sporchi. Chi nasce zingaro non ha salvezza di cambiamento e la sua attesa di vita è 50 anni, lo sai? Vivono tra i topi e le loro baracche fatiscenti spesso prendono fuoco. Lo vogliono loro. No, la loro cultura gli impone una vita nomade, non di morire. Capisco che la mia solidarietà può sembrare assurda, ma l’ho sempre avuta. Ti dico…da bambino quando sentivo le urla di mia madre che rimproverava mio fratello di poco più grande d’essersi fatto la pipì sotto, correvo a bagnarmi i pantaloncini corti al bidet e mostrando la mia colpa solidale dicevo: pur’io mamma. Mamma, che non era tonta, mi guardava dritto, poi di sguincio e riusciva a fare tre cose insieme… rideva, piangeva, ci abbracciava. Senti…corriamo. Si, corriamo. La pedata violenta alle certezze di Carlo ne mina il ritmo e si mette a camminare, cammina sui tacchi. Con un filino di barba e con quell’andatura somiglia al Grinta per colpa di uno sperone calcaneare bilaterale. Ora che c’è? Tom , io sono un pensionato e tu mi parli dei problemi degli zingari, e che cavolo!!! Scusami. L’imbottitura della sua tuta sembra lacerarsi per un dolore improvviso, metallico. Un dolore che spinge dall’interno oltre le costole, piegandole per uscire fuori. Devo bussarmi il petto per quel che ho detto, scusami. Non potevi sapere, ora sai. Quell’idea che qualcuno potesse aver bisogno di lui, invece di essere lui ad avere bisogno lo gratificava di pregiato conforto. Corriamo dai. Si. Una ragazza, un ripieno di salute con rimborso anonimo per ogni coppia d’occhi che non la guarda, ci passa e ci fa tornare il buonumore con un saluto all’uncinetto, è Sonia della nostra stessa squadra. Gina della quale mi ero dimenticato scodinzola felice, profuma di shampoo e menta fredda. Le nostre endorfine tornano attive e combattive. Lo speaker, finalmente funzionale, annuncia 20 minuti alla partenza, non ascoltiamo lui e lui non ascolta noi. Torniamo all’automobile per cambiarci e, tanto per cominciare, Carlo si spalma una crema che puzza sulle gambe per evitare attriti. Io cambio la versione della T-shirt, da bianca a nera per non essere troppo fuori dal coro della mia squadra. Annibale sta seduto nell’ auto vicina con gli occhi chiusi, è un uomo che affatica pure quando dorme. Carlo si avvicina al suo finestrino…. gli si vedono le gengive, siamo sicuri che è morto? Accendo il lettore cd per moltiplicare l’allegria ritrovata e svegliare Annibale dal suo torpore. Esce fuori dall’auto per sgranchirsi le gambe secche, tutti gli anziani che corrono hanno le gambe secche. Colpito dal punteruolo rosso, ha un parallelepipedo di capelli strani sopra le orecchie. Il momento più bello della gara è questa quiete prima della tempesta. Un’amica di cui non andiamo fieri, una che deve aver sofferto il solletico da bambina, e ora è indecisa se essere triste o intristire , si ferma ad ascoltare. Ma chi è che canta? E’ il mio amico Syd. Vicious? No, Barrett. A me sembra stonato. Se stonato sta per matto, lo era, un matto geniale. Sarà… e voi cosa avete di geniale? Abbiamo le amiche come te, di geniale, capacissime di renderci infelici. Arrossisce e scappa saltando ad ogni passo come una cavalletta zoppa, la sparatoria verbale l’ha impaurita. Spengo il lettore, chiudo la portiera, dimentico di far scattare l’antifurto. Rimane in bellavista la mia racchetta elettrificata cinese antizanzara, un sacco a pelo dove medita Gina, l’inserto dell’inserto della Repubblica, una bottiglia di vitasnella cominciata, qualche cd pirata, le girelle in offerta speciale di Carlo. I favoriti se ne stanno in disparte qualche metro avanti, la loro disinvoltura muscolare ambulatoriale non passa inosservata, per loro essere visitati, osservati, è normale. Gambe sottili, spalle a gruccia, volti risucchiati , gli uomini. Seni poco seni, linea poco carnale , poco matrimoniabile ,che non acchiappa, le ragazze. Gente con un corpo usato per dimenticare di avere un corpo. Sono loro i veri estranei della gara, i campioni, noi secondari non favoriti ci conosciamo e salutiamo tutti o quasi. La quantità di tempo che le nostre retine dedica al furto visuale dei loro movimenti serve a poco, complicato imitarli, specialmente a tavola. Difficile misurare il generico, scelgo la quota 300 per i partenti, meglio abbondare. Fa freddo , ma l’azione geotermica dell’ammucchiata funziona. Lo speaker, avvantaggiato dal microfono prova a sedurre i pochi spettatori. Fissare un prezzo onesto per la sua performance è complicato, non sembra irresistibile. La nostra riluttanza nel frequentare altri esseri umani ci passa, esiste una sorta di legame tra noi runners, non è solidarietà, non è amicizia, è quello di cui siamo testimoni che ci lega: la gara. Si parte e il nostro diventa un percorso collaterale per salvaguardare le zampette di Gina dall’euforia agonistica. Lei ogni tanto mi guarda convinta che in tasca abbia uno dei suoi biscotti, ma non ho tasche e non ho biscotti. La corsa spacca quartiere sembra originale e veloce.Ho detto sembra, in realtà è ricca di asperità. Una ragazza con la tenerezza dell’insegnante di sostegno ci rivolge la parola. Le donne grasse non possono mai dire ho fame. Le donne magre possono dire ho fame, è’un loro diritto brevettuale. Tutte però possono dire: ho sete. Lei lo dice. Non c’è ristoro, c’è una fontanella al quarto chilometro, inventa Carlo, e per poco ci indovina. Oh grazie, aspetterò. Che bel cucciolo, ma non si stanca? Che razza è? Gina, che la pensa come me, assume le sembianze di un meticcio trovatello per solidarietà con tutti i cagnolini abbandonati del mondo, ma io subito la sconfesso..: è una Breton figlia di campioni. Si stancava da piccola, ormai ha un anno da dieci anni, del cucciolo le è rimasto solo il nomuncolo bambinoso, Gina. La ragazza si azzittisce mortificata dall’errore anagrafico. Se sei la nostra interprete parla, urla a quelli davanti di andare più piano. Coinvolta dal nostro umorismo demenziale, si rasserena. La gara è difficile, non ci va di viverla pienamente anche perché non succede nulla di importante. Villa Gordiani è densa di pubblico domenicale e sedentario , quello più adatto alle panchine e alla lettura del giornale che al movimento. Arriva un applauso insonorizzato. Ripassiamo davanti al bel complesso popolare sfilacciati e ammansiti dalla fatica. Riconosco e saluto la figlia di Romano, un caro amico volato in cielo parecchio tempo fa. Si gira a sinistra e poi di nuovo salita quasi fino alla fine. Il solito Annibale ci passa nei 300 metri piani che ci separano dall’arrivo. Sopporto l’idea di perdere da lui, non ho reazioni, Carlo allunga, io no. Gina non ci sta, la libero dal guinzaglio rosa, lei ha tutto rosa. Lo raggiunge e lo supera proprio sul traguardo senza aria di sfida. Poi si gira come per dire guarda quanto sono stata brava, l’ho passato senza mani, con le zampe. La gara finisce anche per me, finisce e basta. Nel parcheggio la portiera sinistra della mia auto è spalancata. Dentro sembra non mancare nulla. Ad un inventario più attento ci accorgiamo che mancano le girelle e la racchetta antizanzara cinese. Carlo controlla se esiste ancora il suo computer portatile nel bagagliaio. Esiste. Gina si scola la vitasnella tutta dalle mie mani e si ficca nel suo sacco a pelo esausta per la volata. Forza, andiamo al posto di ristoro c’è tanta roba da mangiare, ci vogliamo arrabbiare per questo furto di niente? Tò, prima che mi dimentichi, ecco gli otto euro che hai anticipato per l’iscrizione. Attraversiamo sulle strisce con passo lungo, nevrotico, scampanato. Accanto al ristoro sotto un muretto basso, rannicchiata,c’è una zingara con un bimbetto in grembo e un passeggino sporco di città con due buste di plastica appese. Ha gli zigomi alti, rossi di freddo accumulato, occhi neri e il seno gonfio d’allattamento. Il suo bambino, contento, è adagiato in una culla fatta con un cencio a scacchi rosa annodato ad una spalla. Ha la girella di Carlo spremuta nella manina e spalmata fino alle orecchie sventolanti, con l’altra stringe la mia racchetta cinese come se fosse il più bel gioco della sua vita. Intorno ha un pavimento fatto con mattonelle di cotone sul quale può muoversi a piacere. Mi accovaccio per diminuire la distanza il più possibile, lei mi fissa indifferente. Mi basta quell’indifferenza per rendermi conto che ha una varietà di lacrime sigillate in qualche scatola di latta profonda. Ogni tanto ne libera qualcuna , invisibile. Accarezzo la fontanella del neonato. Quegli occhi innocenti sono un esca viva per i buoni sentimenti, si fanno istantaneamente perdonare. Abituata al furto, la zingara non si scompone. Le porgo gli otto euro di Carlo compreso un messaggio vocale: compra qualche zanzara al tuo bambino bello. Non capisce la mia ironia bonaria, conta solo i soldi, stringe le labbra e fa partire un bacio minuto con un dito lercio di sofferenza. Sorrido ad occhi bassi con una misticanza sfusa di ammirazione e commiserazione. Alle mie spalle sento la tosse di Annibale. Non mi volto. La conoscete? No, no. L’hanno vista girare con il bimbo tra le auto parcheggiate, prima. Forse si era smarrita, dice Carlo. Sicuro, dico io. Lui ci crede. E aggiunge una cosa bella: se nel mondo non c’è amore faremo un altro mondo, il nostro. Annibale, oggi, dimostra che un anziano è la somma di un bambino più tutta una vita. Infila una mano in tasca, fa suonare la tasca. Mette una moneta da due euro nella culla di cenci, la sua beneficenza diretta, manuale. Mi sollevo. Torno ad altezza Carlo. Comincia a starmi simpatico Annibale, anche se ha ingoiato la carta d’identità . Sei un impiastro d’uomo, Tò. Sorride. Ce ne andiamo. ---------- Hai mai visto un funerale di bimbi rom celebrato in slavo antico? Gettano fiori lungo la strada, e nelle bare ci mettono di tutto, anche l’Efferalgan e il Vicks Vaporub perché non si sa mai, ci si può raffreddare durante il viaggio verso il paradiso.