Corri al Pub

Il cielo è imbottito di schiaffi e cazzotti, grigio, si è fatto male da solo, nessuno l’ha

picchiato, e per un lurido imbroglio personale appare limpido, scioccante di

azzurro e celeste.

Roma è una scatola di solitudine terribile in un tardo pomeriggio d’agosto. Gli

uomini lavorano, le donne lavorano.Gli uomini che non lavorano guardano la tv

con il ventilatore acceso, le donne che non lavorano lavano i piatti del pranzo con

l’acqua fredda.

Giro disperato nel parco con l’occhio al minimo movimento di uomo o di animale,

anche un cane mi sta bene per compagnia.

Mi passa vicino un’automobile piena di gambe e occhi luminosi.

Le donne migliori appartengono sempre agli altri, altrimenti sarebbe una cazzata

quella del comandamento che dice di non desiderarle. Cerco di allontanarmi, la

nudità di quelle gambe ha qualcosa di angoscioso, sono troppo perfette, totale:

donne da evitare.

Scusi, sa dov’è il Pub Ireland?

Certo che lo so, ma è lontano da qui e io sto correndo altrimenti vi avrei

accompagnato.

Corre a quest’ora?? ..ma non è tardi?

Sono abituato al calore del caldo, non a quello della gente, quindi corro quando fa

caldo e quando non c’è un anima.

Che tipo strano, sussurra la più bassina e si allontanano, quasi impaurite,

dimenticando le indicazioni.

Dopo 15 minuti arriva Franco e ci facciamo mezzo giro lento nel crepuscolo serale.

Mi farei una bella birra adesso Tommà.

Una sola? …ma… ma tu conosci il Pub Ireland?

Mai visto Tommà.

Ci vogliamo andare?

Quando?

Ora, adesso, in questo istante.

E a casa che dico Tommà?

E che dici….che vai al Pub con gli amici.

Se dico con te, pensano male Tommà, tu sei biricchino.

Con gli amici della corsa, digli che vai con gli amici.

L’ingresso è di un legno strano, colorato e a punta. Le luci basse, qualche riflesso

sulle bottiglie, una costellazione di bicchieri.

Ci sediamo al centro per tenere sotto controllo noi e l’entrata.

Tre birre dopo.. le luci basse diventano stroboscopiche e tutto sembra girare.

Siamo diversi dal coro dei bevitori, meno eleganti, molto meno eleganti. Franco è

in tuta grigia, io in tuta blu (ovvio) e non siamo tatuati. Pure i nostri discorsi sono

diversi, Franco vuole correre la sua prima maratona con me e io gli racconto che

maratoneti non ci si improvvisa, maratoneti si nasce. Insomma quando divento

allenatore una cazzata tira l’altra.

Una (s)coppia di ragazze superando ogni disgusto per il nostro abbigliamento si

avvicina e chiede sussurrando…ma come fate a correre se bevete come spugne? (il

coglione che serviva lasciava i bicchieri vuoti sul tavolo) (ma forse era una scelta

aziendale) (sempre coglione era…comunque).

Riconosco la voce e le gambe della ragazza del parco e lei riconosce me.

Ma tu sei quella di prima?(notare il punto interrogativo unico, io già sapevo che

erano lì)

E tu sei quello di prima??? (multiplo)

Chissà il dopo cosa vi riserverà….spara Franco che era stato zitto, ma quando

parla è ficcante come una baionetta..

Bisogna festeggiare!! (non si capisce chi lo dice, forse Franco, forse io, forse

qualche genio accanto)

E cosa festeggiate?

Voi.

La rossa arriccia il nasino e la gonna plissettata….ma va…va,…. e non fa più

domande.

L’altra sotto l’amplesso visivo di Franco urla improvvisa che ho vinto?

Franco che è più sbronzo di tutti e umorista nato scaccia una mezza nocciolina che

gli fa da diamantino all’incisivo e recita a memoria:

quattro anni di massaggi , una seduta dall’oculista

e una certa quantità di sofferenza emotiva se ti innamori di me.

Sei così buffo, mi fai ridere e guarda che sono sposata ed ho figli!!

Meglio, così so che lo hai già fatto (Franco non si batte in questi duelli amorosi).

Ma sei terribile, un vero talento comico.

Ho imparato da lui….e mi tocca una spalla facendomi quasi cadere dalla sedia.

Pure tu mi stai simpatico, sciabola la rossa nelle mie orecchie cercando di superare

un orrendo sottofondo musicale jazzistico.

E cosa ho fatto per meritare tanto?

Sei l’unico che non mi guarda le tette quando mi parla.

Ti sbagli.

Non mi sbaglio.

O.k, grazie, …dico con l’espressione mastodonticamente felice di chi ha ingoiato il

sole.

Sarà che la corsa ti cambia e non riesci neppure a farti un’idea di come eri prima.

Ti accorgi di cose, di momenti, dei quali prima non t’accorgevi.

Ti circondi di persone interessanti che non abbiano uno scolapasta per cervello e

che non sappiano muovere solo le gambe, ma anche i ragionamenti e io e Franco

ci sentiamo circondati da quelle due. Oddio, scandagliando sembrano un pochino

sciapette, senza sugo, ma la quarta birra e lo scoscio profondo le avvicina a delle

ricercatrici scientifiche in odore di Nobel.

Franco, intontito d’alcol, controlla i messaggi sul cellulare.

Il primo messaggio è un appuntamento per delle ripetute sui mille.

Il secondo è del presidente che ha male al ginocchio.

Il terzo è di Alvaro che ha male all’anca.

Tutto gira intorno alla corsa, è quello il nostro mondo e quelle due capricciosette

sbarazzine non c’entrano nulla, ma potrebbero sostituire tutto in un istante.

Sostituire e superare. Farci sentire in paradiso anche se io non l’ho mai sopportato

il paradiso.

Mi vengono in mente gli allenamenti sulla sabbia con il mare che vuole l’abito

pulito e smacchia le impronte dopo il passaggio, negando il tempo di capire chi è

passato. Ecco, vorrei cancellarle quelle due, sento troppo pericolo, molto pericolo.

Mi alzo, puzzo di di kebab e birra scura. Scanso una figona imbalsamata in abito

rosso e raggiungo la cassa. L’addetta sta leggendo un tascabile sfruttando la luce

fioca e un paio di occhiali da dieci diottrie.

Vorrei pagare.

Che tavolo?

Non so, quello lì al centro.

Capito.

Aspetti che controllo.

Clikka qualcosa su una specie di pc grasso di grasso.

32 euro.

Caspita….

Le sembra troppo?

Troppo poco, dico recuperando un minimo di dignità, ma mi sento più stupido di

un torneo di burraco.

Pago anche le birre delle ragazze accanto.

O.k , 16 euro.

La cassiera mi da uno scontrino qualunque e dopo un segno a Franco esco.

Lì dentro mi sentivo un detenuto nel braccio della morte,… mi mancava l’aria.

Dov’è la macchina Tommà?

Sento che è questioni di minuti e la troverò, Frà.

Ma non ti ricordi??

No, ma non dirlo in giro…

Le due ragazze escono di corsa dal Pub….ehiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii voiiii

Ma ve ne andate senza salutare???

Ciao.

Avete pagato il conto delle birre…che gentili.

Franco ha vinto 14 miliardi al superenalotto e qualcosa può permettersi.

Che burloni!!

Si avvicina e sento strusciare addosso alla mia tuta tutti i suoi trent’anni, una

scossa di vitalità e di ferromoni . Spingo il comando elettronico dell’auto. Le

portiere scattano e il mio viso guadagna l’espressione di chi ha fatto qualcosa di

grande. Ho aperto l’automobile.

Quelle due ragazze avrebbero potuto cambiare il mondo con la loro bellezza e

invece se ne stavano vicino a due sbronzi ad elemosinare un saluto. Mi viene in

mente la storia dell’immondizia, che per conoscere a fondo qualcuno bisogna

rovistare nella sua spazzatura. Mi immagino la loro di immondizia…incarti di

cioccolatini, foglioline di fragola, boccette di smalto. Un’ immondizia meravigliosa,

profumata, da raccolta differenziata nel secchione rosa con cuoricini e uccellini

che fanno cip, cip..

Osservo Franco, barba lunga, scapigliato e ubriaco. Sembra un cinghiale.

Voglio bene a Franco.

Andiamo via Frà.

Dove Tommà?

A casa Frà.

Le due ci osservano come due extraterrestri,

e forse lo siamo.

Ci allontaniamo.