Corsa, neve e terapia. Dormo solo con chi mi vuole bene, è sempre stato così, fin da bambino. Apprezzo l’affetto più di quanto mi riesca di dire e se avessi voluto non parlarne non avrei scritto una riga: c’è sempre nei miei racconti. La corsa la vivo come qualcosa di terapeutico anche se è sbagliato farlo. Far diventare tutto terapia è, almeno per me, abbattere il legame stretto tra sofferenza e creatività. A conferma di questa tesi c’è la conferma che le cose migliori le scrivo proprio quando non corro. Cose che in quel frangente mi avvicinano a me permettendomi di capire la mia insofferenza e di poterla vivere, liberamente. Ho detto a me e a tal proposito svelo un segreto : chi scrive lo fa soprattutto per vivere. Neppure il più attento lettore se ne accorge : chi scrive lo fa per vivere se stesso. xxxxx Non voglio accusare nessuno e fermatemi se sbaglio, ma ieri ero al supermercato, quello dove vado sempre, proprio quello lì, lascio il carrello zoppo vicino ai surgelati, stufo di quel zin zin della ruota sinistra. Una donna con viso bello, malcapitato su quel cervello, mi fa: -ma dove l’avete messa la Ferrarelle. Ci penso un attimo e poi rispondo: confezione grande o piccola. -Grande, no? Allungo le mani sullo scaffale e cullo la confezione incellofanata fino alle sue braccia. Prende il fagotto e si allontana. Alla cassa la fila è breve , la donna che mi capita davanti poggia le sue cose sul nastro e si gira. Osservo il suo profumo, il suo colore, i suoi gesti, la sua ombra, non lei. Il suo rimando sembra dire:- tienimi in braccio con lo sguardo ancora un po’. Sembra. Ha una scossa, strattona il carrello e stringe la borsetta sul fianco. L’identità di commesso è sostituita da quella di delinquente. Faccio disordinatamente scivolare il mio sguardo sull’ingranaggio che trascina gli acquisti ad altezza uova di gallina. -Tu sei scemo Tò. Così mi dice, tu sei scemo Tò, la voce dentro. Sentirsi in colpa per niente, senza aver fiatato, ma si può? Lo so, è una rogna che mi tocca spesso, sentirmi in colpa, sono un filo d’erba sfuggito al rastrello, non so cosa fare di me, ingiallirò e basta se il mondo è questo. xxxxxxxxxxxx La frenata del camion è una lagna, entra nel posteggio dell’autogrill. Lo seguo, mi sono abituato a quelle luci apparse in un improvviso precedente. L’addetto Ama scende e ride:- mi stai rubando velocità fratello, ma perché non mi hai superato, la strada è vuota, paura della neve? -Hai uno stop rotto e la vaga certezza che mi tenesse compagnia mi teneva compagnia. -Sei matto forte, dai che ci prendiamo un caffè. -Se pago io si. -Certo che paghi tu. (ride) Saltiamo una voragine di copertoni e un mini prato inglese calcinato. Un paio di benzinai guardano la neve come uno sport di massa alla tv. Si alternano nelle tirate alla sigaretta per non dare un’idea difettosa, prima l’uno, poi l’altro. Sono molto in confidenza, si vede da come stanno zitti. Entriamo nel bar senza perdere tempo. Con automatismo andiamo al bancone, la cassa è vuota. -Due caffè. -Dove te ne vai amico? -E dove me ne vado, oggi ho il giro qui intorno. -Tu? -Io pure ho un giro, ma di corsa. -Da solo? -Solo i corridori fasulli si muovono in branco. -E tu non sei fasullo? -Si, ma poco poco.(rido) Dalla vetrata le nuvole ora non sembrano nuvole, qualche deficiente si è divertito a fare uno scarabocchio bianco in cielo. Non c’è nulla di amorevole in quella luce , è per niente amorevole. Resterò per tutta la vita sotto quel bagliore scadente di luce. Per ora è solo una sensazione, una cosa che sta solo nella mia testa, con crudeltà. La sfascerei a martellate, giuro. Saluto l’addetto con una stretta di mano, mi regala per gadget tre bustoni condominiali per la spazzatura. Esperimento una nuova partenza per superare il gelo dell’asfalto e fare un po’ di scena. Tormento con un brum, brum il motore invigorito dall’accellerazione e da quell’amicizia. La tuta sembra tiepida di stiratura, l’arbre magic più profumato. Non so cosa, ma qualcosa va meglio, ora. Trovo posto sotto un albero bello spoglio che mi fa sentire per solidarietà più clemente con me stesso. Mi avvicino ad una combriccola in ceramica tutta al femminile e tutta intutata. -Ti si asciuga la pelle a forza di dire cavolate. Lei si gira mostrando una voce piena, da mezzogiorno. -Si dice ti si asciuga la gola , pallesecche!!. -Tommmmmmmmm -Quanto tempo … ..fatti vedere…ma non cambi mai tu?.. vecchio uguale eh (ride) -E a te puzza sempre il fiato?.... -Sissi. -Allora non mi baciare. Una coppia accanto, una coppia felice, carica di orgasmi serali ci osserva con sguardo caprino. -Non pensavo proprio di poterti incontrare qui. -Volevo portare pure il cane, ma con tutta questa neve non me la sono sentita. -O povero Tò e ora come farai senza ?...Se abbaio mi porti con te? -Nemmeno se mi pagano.(rido) -A che ora si parte? -Alle 10, come sempre. La gente che corre è diventata una chiazza rettangolare, una bassa marea umana. Non c’è abbastanza posto qui per uno scoglioso come me. Metto su un broncio da agonista e non parlo più con nessuno. Sono il meno abbracciato della gara e nemmeno mi importa. Arriva Annibale. -Perché non mi hai chiamato ? -Non avevo credito al cell. -Come sei strano . -L’ho rivista Tò. -Per farmi contento ha detto se usciamo metto la gonna corta come piace a te. -E tu sei contento, no? -Ha la mia età Tò. -Capito. -Basta una nota e tu mi capisci , Tò. -Vero, ma sei un cd musicale, una canzone bella e il resto merda. -E lei è la tua canzone bella, il resto... -Ma cosa ti prende ? Cercavi qualcuno per litigare e hai trovato me? Dissecca il naso e gli occhi umidi con un lembo di asciugamano che fuoriesce dal borsone. -Mi ha chiamato, ed è molto triste quello che mi ha detto. -Cosa ti ha raccontato? -Mi ha raccontato. La finestra sul suo io lo ammutolisce, lo mortifica, e io stesso avendo una sola versione dell’accaduto a quella devo credere. -E’…è…successo una sola volta, avevo perso la testa per gelosia, Tò. -Non è vero, e anche se fosse… una volta basta e avanza. -Per cosa basta e avanza? -Non sei più mio amico, Annibale, non lo sei. -Niente più bar, niente più allenamenti, niente più gare insieme. -Vai… -Ma? -Vaiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!!!!! Tanto il percorso lo conosci, no?. -Tò? Per favore, ti chiedo scusa, sta pure arrivando, vuole correre con noi. -Chiedi scusa a me? A lei devi chiedere scusa se ti scuserà. -Io non corro con nessuno, anzi non corro proprio, oggi. Lei arriva, ha il viso sabbiato, stinto dalla notte insonne, tira fuori un sorriso sotto il ciuffetto nero, saluta prima me, poi circonda il fianco di Annibale. Ha lo zigomo sinistro livido. Io che mi aspettavo scoppiasse a piangere come una bambina resto deluso. Senza dare scampo a un minimo di conversazione comincia a scaldarsi sul posto. Il non rumore di Annibale è il risultato di una discussione provata a tavolino, sta zitto come mai prima. Poi dice: -stai usando Tom contro di me. Lei interrompe il riscaldamento e interrompe se stessa, bianca di dolore. Un dolore pronto a fare le valige solo dopo un tocco amorevole. La gara parte insieme ad uno sconforto raggruppato, indivisibile, inconsolabile. L’ovattato rumore della neve è sostituito da un laboratorio di silenzio. L’ ennesimo bigliettino Annibale lo scrive su quel foglio bianco, ghiacciato, al posto di ristoro e lo scrive da solo : bevi qualcosa, no? Lei beve, lei aggiunge parole e sorrisi. La gara finisce. Li osservo immerso in una calma minacciosa, impeccabili. Va meglio, ora. Va meglio per tutti e tre. Strano eh.