La Mezza di Fiumicino. Per non essere contento solo il giorno della pensione ho diminuito i grassi e aumentato l’alcol. Questo regime dietetico non fa mica fico, ma farei di me un bugiardo se dicessi di non poterlo sostenere a lungo. Pure il chilometraggio degli allenamenti si è modificato, ha fatto tutto da solo senza il bisogno di un mio intervento, e i tre chilometri al giorno sono diventati sei, con qualche pausa. Ora la versione valida di me è quella più veloce e resistente. Se uno mi sente può benissimo pensare che mi piace scherzare, ma non ne posso più di vedere le facce degli organizzatori che scrutano l’orizzonte con il cappello a becco d’anatra e la maglietta insanguinata dagli energetici mentre aspettano il mio arrivo, io che zampillo sudore pure dalla schiena e ho qualcosa di femminile dietro: la macchina di fine corsa. Non ci sono strategie che tengono, se arrivo con lei sono ultimo, e se mi sfugge la situazione di mano posso pure essere squalificato, non perché sono uscito di casa senza cappotto, ma perché sono stato troppo lento. In questa Mezza l’uso ripetitivo della mia immagine oltre a essere un wagneriano leitmotiv deve superare i dieci chilometri in meno di un’ora e otto minuti se non voglio portare in porto centomila tristezze per essere stato fermato. Mi sto solo facendo un’idea di quello che accadrà o che potrebbe accadere. E non me la faccio solo per intromettermi nella gara, è solo una bozza di pensiero di uno come me, incaricato dal destino di tornarsene a casa senza nemmeno i quindici euro rimborsati mentre tutti si divertono a mordicchiare tovagliolini imbottiti di crostata sotto gli sguardi fieri dei prosciutti appesi come premi di categoria. La telecamera riprenderà lo speaker se ci sarà, ma di solito c’è, ed è sempre lo stesso con quella voce stonata che fa l’effetto di una scatola di Tavor ingoiata con tutta la carta. Pure il fotografo è sempre lo stesso, che un giorno gli ho detto:-ma non cresci mai tu? E lui si è toccato i baffi e ha riso. E ho aggiunto:-che cavolo ti ridi, aspettandomi una risposta brusca. E lui ha riso ancora più forte. Da allora mi sta simpatico e se lo saluto sempre in qualsiasi posto mi sento meglio come essere umano. Non so come spiegarlo, lui è un uomo da qualsiasi posto. Con gli occhi più anziani della sua età e gli occhialini a bolla di sapone non ti viene proprio in mente di chiedergli-che lavoro fai. Ha sempre la macchina fotografica al collo come Andy Warhol, e come lui fotografa i pazzi. All’arrivo, e giuro su quanto ho di più caro al mondo che è vero, mi ha detto: ti ho fotografato. Fiumicino ore 8,30- lato est-Palazzetto dello Sport. Il sondaggio per sapere in quanti della nostra squadra correranno ha un risultato talmente basso da sembrare truffaldino: in undici, compresi due nuovi iscritti dallo sguardo sicuro e padrone di se stesso. La nostra squadra, dispiace dirlo, è poco feconda e sussiegosa in questa mancata occasione. Tanto per cominciare qualcosa di veramente importante Fernando ci saluta con affetto. Poi mi mostra il suo rimprovero: nei tuoi racconti non parli mai di me. Vai troppo forte , rispondo, non faccio in tempo a inquadrarti. Ride, rido, e ci passa i pettorali con prevedibile soddisfazione e anticipo, si è occupato lui delle iscrizioni. Arrivano Franco e Koky, la contentezza di rivederli diventa quasi baldoria. Arriva Roberto Raidich, il nostro campione. Ore 9,30. Strada vicinale, Palazzetto dello Sport. Siamo tutti stretti e imparentati con la stessa passione, non possiamo neppure passare il tempo a immaginare il percorso, così vicini non si vede niente. Conto la gente che sta dentro: duemilasettecento, compresi quelli che si fermeranno al passaggio dei dieci chilometri. Una giovane signora spiega l’uso corretto del Gps running a Carmine. Poi guarda me per continuare con le istruzioni, la precedo dicendo: a me basta il calendario, ci metto un giorno a arrivare. Si allontana accompagnata da una ricrescita evidente. Non so cosa vi hanno detto gli altri, ma queste fasi propedeutiche alla partenza sono uno spasso. Lo sparo è delicato e romantico come un colpo apoplettico. Di punto in bianco la temperatura sale. Sul marciapiede opposto c’è un tifo zero, l’unica figura vivace e rinvigorita è una pompa di benzina e lo sfottò di un nucleo di ritardati. I migliori, i più dotati scappano via. Io e Carmine non aspiriamo a altro che metterci in movimento. Dietro, lo schienale alto di centinaia di dilettanti preme, rimpiangiamo l’idea di non esserci iscritti alla dieci per tenerli a bada. Orribili graffiti su un muro condominiale ci accompagnano nella retta. Il sole ha preso bruscamente la meglio e illumina la scena da una posizione frontale. Scavalchiamo il verde marginale di un paio di prati incolti per guadagnare qualche metro. Ci fidiamo del ritmo di un tipo magro e storto come il tubo di un lavandino che racconta barzellette. Spiega come la sua passione per le donne sia colpa della nascita che lascia quel certo cerchio alla testa. Lo spiega a voce alta. Intervengo e dico : - secondo me sei frutto di un parto cesareo e fai tutta scena. Non reagisce. Non ride. Per colpa della differenza d’età. Forse. Dopo dieci minuti cominciano a separarsi uomini soli, donne sole, quasi tutti addobbati con la maglietta della squadra. Fa strano vedere gente nel fiore degli anni correre da sola. La corsa è più crudele della vita? (Mi domando). Fiumicino neppure la vediamo, il circuito iniziale è sostanzialmente periferico. Fiumicino, foce micina, nasce come porto interno fornitore dell’antica Roma. Ora si occupa di notevoli traffici petroliferi, del collegamento con la Sardegna e di una bella flotta di pescherecci. ComeTripAdvisor affermato confermo una sostanziale predilezione dei ristoranti del posto per una eccellente cucina marinara. Ci avviciniamo al mare scortati da una fila di automobili ferme e inferocite. Risulta abbastanza chiaro che la gara è lunga e difficile, e la voglia di non collaborare con gli automobilisti diventa un circolo vizioso. Impongo a Carmine di allungare, non trovo giusto che rimanga smarrito nel mio ritmo da pescatore di telline. Nessuno se la sente di farmi domande e per migliorare l'umore faccio il filo a una signora con i capelli mogano, la mia laurea specialistica nel farmi gli affari degli altri viene intarsiata dall’ennesima tacca. L’insieme noioso e soporifero degli atleti in gara, e non coinvolti in qualcosa di più interessante, scompare. Il punto per quanto riguarda la conversazione è puramente ponderale. Non è una donna affascinante, ma l’idea che ho di lei lo è. Il nostro progetto amicale prosegue fino al dodicesimo chilometro in simbiosi con la semplicistica architettura stradale e paesaggistica, affogati in un sudore novembrino. Rimasto solo ripasso tre o quattro canzoni mute e comincio a camminare. Salvatore, uomo amabile e sensibile, non se la sente di superarmi per due ragioni: è della mia squadra, è un marciatore. Somiglia a un mio generoso compagno di banco che mi faceva copiare tutti i compiti di matematica e poi prendeva un voto più brutto di me. Decido di non sfruttare la sua scia, tutto quello che so l’ho imparato a scuola e pure questo, e non voglio approfittare della sua generosità. Nel finale cerco di scambiare due chiacchiere con Silvia che ha un ritmo lento, rassicurante come la sua voce. Senza starci tanto a pensare raggiungiamo il pallone del traguardo in due ore e trenta. Contenti. L’arrivo è come avevo immaginato l’arrivo. Le fasi del processo sono queste : medaglia al collo, fetta di crostata industriale alle albicocche, bicchiere di tè caldo che sgorga da fontanelle. Carmine. Ritiro del pacco gara con maglietta fuori misura. Abbraccio di Lisa amica di Nettuno e responsabile del progetto Spiragli di Luce. Saluto consolatorio di Franco, impegnativo e preistorico compagno di allenamento delle Tre Fontane. Finito tutto. Ora che ci penso, e dico che è una roba da manicomio, mi sento perso come dopo un botto forte che ti lascia stordito. Carmine, è quello seduto sotto l’unica acacia spiumata del Bar, quello con la tuta spezzata, giacca e pantaloni di due marche diverse, e la pagina della Roma in mano. Io sto qui, nella seconda sedia a destra, accanto al tavolo con una nuvoletta verde di pistacchi mangiucchiati e una tazzina di caffè con la decalcomania della marca del caffè. Morti di fatica non vogliamo sparire in fretta. Siamo rilassati. Carmine, in una soggezione temporanea, dopo un paio di tentativi prova a urlarmi qualcosa, poi sta zitto. -Siamo stati veloci, questo stavi per dire? -Si, To’, proprio questo. -Sei stato veloce, tu. -Pure tu To’. -Ma si, pure io, grazie. Carmine ha uno stile di guida poliziesco. Per un po’ restiamo bloccati da un semaforo e da un ponte. Per un po’ ci allontaniamo, verso il Raccordo. Dal finestrino volano i palazzi. Mi sento in un periodo di prova. Nulla è fondamentale, nulla è definitivo. Un’indicazione medica dice: non superare la dose, il prodotto teme l’aria e la luce. E io dormirei per giorni.