La Mezza di Fiumicino Certe cose vanno fatte e devi semplicemente farle, anche se hai il fiatone. Riappare il titolo dimenticato di un lungomare ripulito con l’amuchina. Una mostra macro di barriere di scogli finti è una cosa lunga scomposta riordinata da spiaggette pulite, da darsene silenziose, da profumati ristoranti economici di pesce. Il mattino scintilla a Fiumicino, bisognerebbe avere il coraggio di fissare il sole come Vincent e metterlo in un quadro e farlo apparire pure di notte, perché il buio non c’è, non esiste. Ho l’impressione che il sole mi ascolti come qualcuno che sta per dirmi qualcosa. Pure quelli che mi sorpassano sembrano bei dipinti che stanno asciugando. Mi sono adattato alla sacca d’aria che mi resta nei polmoni e nemmeno fatico più. Pochi minuti prima sembravo scampato per un pelo a un incidente. Avevo l’ espressione di un ossesso. Ora non più. L’acqua marina ha sedato il mio sistema nervoso. Le case dentellate da siepi in fiore diventano pietre miliari, scandiscono la distanza. Sono tornato la versione giusta di me stesso, un magazzino di battute. A una ragazza con palloncino rosso chiedo: che record promette quel palloncino? Delusa a stare dentro a una risposta così banale risponde: di arrivare. Poi con il trucco della volontà e delle labbra mi sorride. La sagoma azzurra del traguardo estraibile si avvicina. Non sono neppure stanco, la gara, ora, sembra una combine. Mi sposto a destra, protetto dal timbro di uno speaker robusto. Dentro il palazzetto un’anziana pacioccona mi offre pizza bianca imbottita. La mia gola scricchiola ogni volta che deglutisco. C’è un forte odore di medaglie, di Red Bull, di pulito. Sedetevi vicino a me. Che Dio vi benica.