La corsa dei due comuni, Guidonia. Partenza ritardata dal traffico. Siamo tutti abbastanza vicini da permettermi di scorgere l’espressione di meraviglia, la stessa di chi compie qualcosa a cui è abituato nei fine settimana, ma non così. Impossibile stabilire la qualità dei partenti, come spesso succede in queste gare minori si ritrovano fior di campioni nella ricerca di gloria a buon mercato. Io non ho autorità, né valore per poter giudicare. Un percorso monotono, senza paesaggio, mette in ombra pure qualche bel casolare. I primi cinque chilometri in salita non sono duri, ma mi danno la voglia di indietreggiare, di ritrarmi dalla competizione. C’è l’odore triste delle strade deserte al mattino. Sul penultimo banco di ristoro trovo un bambino che mi porge acqua in un bicchiere di plastica. Al ritorno una discesa si aggiunge all’altra, il mio ritmo innocente non cambia, resta delicato. Un uomo robusto in abito da cerimonia scende dall’automobile bloccata a un incrocio e si esercita in un litigio con un vigile in divisa. Se qualcuno mi sostituisce le gambe provo a dargli un calcio in culo, penso. Mi rimiro nella bruma dei campi incolti, senza compagnia. Apro e chiudo la bocca in cerca d’aria. Non sono molto lontano dall’arrivo quando arriva Fabio, sembra un brav’uomo. Lo saluto, mi saluta. Mi presento, si presenta. Gli dico che forse scriverò qualcosa , ma non so cosa. Risponde ‘ah ‘ e non aumenta il ritmo. Abbiamo una naturale affinità nel tenerci compagnia e riusciamo a dire altre cose che non ricordo. Pure la sua espressione facciale è come la mia e ha la barba. Gli racconto che ho subito un intervento operatorio di tre ore dieci giorni prima. Glielo racconto per avere un po’ di pietà ora che sono davvero stanco. Non si gira, guarda avanti con il testone rigido e immobile e dice di nuovo ‘ah ‘. Scuoto il collo per sbarazzarmi della confusione dell’ultimo chilometro , quello dove penso mi abbandonerà. Divento silenziosissimo nell’attesa. Il frammento di energia che mi è rimasto non lo voglio sprecare. Il costoso macchinario che sta nel cervello è difficile da interpretare, e se Fabio aumenta di un solo secondo al chilometro l’andatura diventerò la riduzione di un uomo e resterò impantanato nei miei passi, penso. 500 metri. Il percorso ci fa inclinare a sinistra. Siamo talmente umani da non sembrare umani. Faccio una cosa che non ho fatto mai in trent’anni di corsa. Allungo la mano sinistra. Fabio me la stringe forte. Tagliamo il traguardo.