Aspettando la mezza. Nove febbraio, è una botola di freddo e acqua quel giorno a Tor Vergata. -Ma mi ascolti o no? -Ci provo, ti ascolto ti ascolto. -Trovi tanto meraviglioso osservare la pioggia dal finestrino? -C’è la canzone dei Coldplay, quella che piace a te, Fix You. -Mi sembrava un’altra. -Che impianto, forte questa organizzazione! -Lo speaker che dice noi siamo contro il doping fa ridere, però. -Si, è una banalità, ma se lui è convinto che non sia banale dirlo lasciamoglielo dire, che male fa? -Pure sulla maglietta rossa è scritto. -Ho visto. -E non l’hai messa. -Bè, io farei un’analisi casuale ai primi cento arrivati. -Se è ai primi cento non è casuale. -Comunque ne vedremo delle belle. -Tò è molto grave quello che dici. -Bè parlano tutti di doping parlo anch’io, no? Sembra sempre tutto lontano, ma è in mezzo a noi, accanto a noi. E di quegli ipotetici cento estratti almeno la metà sarà fatta di antidolorifici, vuoi scommettere? Facile giustificare un antidolorifico, non credi? -Mi stai rovinando la giornata. La voce di Annibale appanna il vetro in un punto solo, sopra la manovella. Ora si vede l’ospedale, la croce grande accanto, il giardinetto, il capolinea, ora si vede tutto. -Tu pure me l’hai rovinata frequentando quella gente. -Quale gente? -Quella che ti presta i soldi. -Sono amici. -Ma vaffanculo, amici quelli, sogni. -Ho provato a chiedere a te e mi hai detto levati di torno. -Non vado in giro con i soldi sottobraccio, ti ho detto dammi tempo, questo ti ho detto, idiota. -Bè, io avevo capito che dovevo togliermi di torno e poi io chiedo a te, tu devi chiedere a una banca, ma che giro è? -Quello avrei potuto fare, quello. -Scusami Tò, ma sei stato un po’ peggio che inutile. - Senti, siamo venuti qui per correre, e corriamo. Che poi immergermi nella vita di uno che impiega un quarto d’ora per spiegarmi il significato del suo tatuaggio nuovo sul gomito sinistro è raccapricciante. Annibale è come quei paesaggi che da lontano sembrano belli, e da vicino ti fanno dire –bè? è un’ altra cosa, e mi viene voglia di chiedere un risarcimento per essermi ammazzato di fatica nel preoccuparmi. ( Ora mastica uvetta e gioca a shanghai con tre sigarette sottili sul cruscotto.) -Bella roba l’amico tuo, mi ha detto il portiere. -Quello è un ritardato, Tò. -Mica lo so perché sono stato zitto. Per paura di che? Mi prendesse un colpo se l’ho capito, paura di che? Che gli ho dato pure la mancia a Natale . E lui per ringraziamento è stato mezz’ora a parlarmi del suo violino e di come lo suona bene e mi ha chiesto pure -tu sai suonare? E ho detto: –si, certo che so suonare. E lui –che? – L’armonica. E si è messo a ridere e ha detto che quello è uno strumento da pecoraio. E io gli ho battuto a macchina un vaffa, proprio così, un vaffa aromatizzato di vaffa, e me ne sono andato pensando che sarebbe stato bello passare una giornata senza buttare giù caffè, bestemmie e sigarette, ma quella non era la giornata. Scendiamo dall’automobile spacciandoci per amanti della corsa. I ragazzi della squadra si intersecano al riparo della pensilina dell’autobus, sono numerosi e contenti di esserci, come sempre. Salutare il loro entusiasmo è affare semplice e dimentico tutto quello che ho scritto cinque minuti fa. La partenza lanciata non è lanciata, funziona solo nel rispetto degli atleti migliori che partono al secondo pallone. Completamente fuori moda un terzetto di donne stantie fa da staffetta ai nostri piedi torturati da una pioggia battente per un paio di chilometri. L’andatura è modesta e colloquiale, mancano solo lo sherry e i pasticcini. Attraversiamo un lago artificiale formatosi al centro della strada, l’acqua è alta e si muove delicatamente. Sloggiamo da lì e arriva una salita poco seria, un sottopassaggio asciutto e buio e di nuovo pioggia. La conta dei chilometri è un’applicazione che è saltata, nessuno capisce cosa indichi quel lenzuolo arrotolato. Caro vecchio gesso. Dall’altra parte della carreggiata i petti ansimanti di chi è parecchio avanti. Molti sono una mortificazione oculare, grassi e sfatti oltre lo steccato di lamiera. Il viso di una donna appare e scompare, mi concentro sulle apparizioni dimenticando la brutta carriera dei chilometri passati, favorito nel ritmo da una leggera discesa. La perdo negli ultimi cinquecento metri senza aver capito bene quanto fosse graziosa. La retta finale è un mercato di gente arrivata che ha l’incombenza di aspettare. Aspettare che? Di solito ognuno prende la sua strada. Le smancerie della partenza sono solo un ricordo, a nessuno importa come stai e tu ti auguri vivamente di non ricevere pacche sulla schiena e non perché sei stanco, perché sei strano. Merita un’occhiata il ristoro. A destra un piatto di rigatoni carichi di formaggio, a sinistra salame, pizza e pecorino. Uomo difficile mi sento violentato dalla brutalità di quel ristoro crepuscolare. Una ragazza mangiucchia salame a fette. E’ una bella ragazza. Dimentico il valore nutrizionale.