Mezza di mezzanotte
.
La busta di plastica della spesa solidale ha la foto impressa di un ragazzo Down che
sorride.
La porto sempre con me quella busta quando vado ad una Gara importante.
Ci infilo dentro due magliette, un pantaloncino corto, le scarpe per correre, due
carbogel energetici, una mela.
Arrivo presto dalle parti di Villa Celimontana e trovo posto per l’auto. Stacco l’osso a
una zanzara impertinente che mi porto da casa nell’abitacolo. Il suo corpo spiaccicato
sul mio braccio è ripugnante, sembra un tatuaggio di ribollita. Solo le zanzare
femmine pungono per suggere il sangue e lo fanno per portare a maturazione le uova,
è imposto dalla loro natura quel pasto di sangue. Quasi mi dispiace averla uccisa.
Un taglio dei capelli sbarazzino mi impedisce la visuale dall’occhio sinistro e mi
affido all’intuito per raggiungere la partenza in via San Gregorio.
Difficile vedere atleti solitari, sono tutti divisi in gruppi, gruppetti, catalogati. Quelli
della mia squadra li trovo seduti su di un muretto basso, mancano solo le canne, la
musica a palla, le ragazze in mini e sembrano degli adolescenti. Rodolfo, malandato,
ha una sigaretta trattenuta dall’orecchio destro alla cow boy. Squadra internazionale
la nostra, oltre ai burini (me) abbiamo argentini (due), peruviani (uno), messicani
(una) ,Alvaro del viterbese e fumatori e non fumatori.Ultimamente si è aggiunta una
giovane yankee..Elisa Paris Hilton, ma ho dubbi che sia americana, sembra più di
Centocelle nonostante la somiglianza con la diva.
L’aria è ancora calda, mi sento pescato nel delta del Mekong, inquinato quanto basta
di sonno, stanchezza fisica (ho un tremendo mal di schiena) e morale(il perché non ve
lo dico). Il pasto pre gara è stato eccellente : una caprese con pomodori verdi a fette e
mozzarella di bufala. Mia moglie dopo anni di convivenza con la corsa non ha ancora
capito (o finge di non capire) come deve essere un pasto che precede un allenamento
importante o addirittura una gara. Adesco una ragazzona con un corpo a luci rosse e
le chiedo se l’orario di partenza è confermato, risponde con un rapido : non so.
Indeciso se uccidermi o farmi uccidere per la delusione di quel colloquio fast, mi
avvicino alla partenza. Un Bar, accapponato in una vietta laterale emana fragranze di
caffè. Mi scoccia andare al Bar da solo, mi ricorda troppo i tempi depressivi
giovanili da disoccupato occupato a giocare a stoppa o a macinare solitari
seduto all’aperto con la camicia stirata e con lo spettacolo dello struscio continuo di
gente indaffarata. Io non mi indaffaravo, i miei solitari duravano le ore, un retard
geniale che mi permetteva di avere la mappa fisica costante della gente del quartiere.
Tommà!!
Uno sparo nel buio il vocione di Franco.
Annamoce a pià un caffè, Frà.
Un invito pittoresco che non sembra fatto da me, ma da un clone borgataro.
Quelli della squadra stanno ancora appiccicati al muretto, sembrano manifesti
elettorali di un partito di sinistra. Non per le maglie. Per le facce, sinistre, impaurite.
Da qualche parte nel cielo c’è la luna, basta trovarla sotto il piombo delle nuvole
ammucchiate. Cade qualche goccia di pioggia sulla retta di via San Gregorio e sui
3380 dilettanti allo sbaraglio.(è la prima volta che si corre questa gara)
La Mezza, nonostante l’aria calda, sa di frigo e ti prende perché vuoi assaggiarla,
sapere se è ancora buona o se è andata a male, se davvero è un avanzo di gara, un
rimasuglio di maratona. Nuoto in tondo, tra la gente che si scalda, si prepara alla
partenza, nuoto come un pesce rosso, senza meta apparente, con l’acqua pulita, alla
ricerca del cibo che manca. Le informazioni che ho sulla qualità degli avversari sono
quasi tutte estetiche e difficili da valutare. Non cado nell’inganno di credere che il
plicometro(il misura ciccia) mi dia i tempi di tutti, occorre il suggerimento di una
banca dati: questo lo puoi superare al decimo km, questo ti batte, inutile provare, ma
è intollerante agli affondi, alle variazioni, alle accelerazioni, se vuoi tentare, tenta.
Ecco, così la gara sarebbe facilitata, non dovrei preoccuparmi né di partire né di
arrivare. Penserebbe a tutto un programma di controllo degli avversari, ovviamente
tradotto in cuffia : sonoro. Per il momento tutti i filtri funzionano, mi sento un uomo
del sottosuolo, nessuno mi vede, nessuno mi nota, nessuno si accanisce contro di me,
passo indifferente.
Di notte la strada è blu e il resto intorno sembra morto, o almeno che dorme per nulla
felice di dormire. Meravigliosamente caustiche, le luci artificiali cercano di
risvegliarlo, l’intorno. Lo punzecchiano e spolpano le parti buie con avidità aiutate da
2000 fiaccole di cera ai lati del percorso.
Un cane randagio con le costole in evidenza, sbucato chissà da dove, si avvicina per
festeggiarmi.
Gli animali hanno il pregio di mettermi di buon umore se sono contenti, fossero pure
pulcini o galline. E lui inconsapevole mi buonumorisce (licenza poetica). Quel
dolorino al ginocchio sinistro solo io posso sentirlo, non posso dividerlo con nessuno,
la strana solitudine del dolore…Faccio una carezza al cane inzozzonito dal dormitorio
urbano, ha tracce evidenti di grasso d’automobile e di avanzi di cassonetto. Lui alza
lo sguardo e i suoi occhi acquosi sembrano percepire il mio fastidio e partecipare
solidali e coerenti al mio stato d’animo ansioso. Solitamente chi scrive di corsa parla
di tempi, di alimentazione, di allenamento, di azioni ripetute, di accelerazioni, di
volate, di records cronometrici. A chi può venire in mente di parlare di un cane, di un
cane che capisce. Devo farla finita con questa commozione costante, ridicola,
infantile. Un cane è un cane. La gara sta per partire non posso preoccuparmi del suo
manto bisunto, del suo sguardo acquoso e delle sue costole evidenti. Alle undici di
sera dove posso andare a trovare roba da mangiare per cani? Non posso proprio. Ho
pochi spiccioli in macchina, gli porto un panino di Mac..un Kebab con le salsine e la
cipolla a fette?
Mi scolo mezza bottiglia di minerale, per dimenticare, ma non dimentico.
Una ragazza con una coscia tatuata e sudata mi riporta alla realtà delle cose, 10
minuti e la Mezza parte, sono tutti in allarme. Strano modo di comunicare hanno le
donne, infestano il proprio corpo di tatuaggi, tipo gang di periferia, per farne un
richiamo sessuale inopportuno. A nessuno verrà mai in mente di dire fammi vedere
che bel tatuaggio, piuttosto storcerà la bocca disgustato dalle macchie nere, rosse e
blu sulla pelle e in ambito baciatorio zompetterà con i suoi baci saltando le parti
scritte. Se è scritta la bocca, salterà quei graffiti e le labbra..che è tutto dire. Se è
scritto il seno.. salterà il seno (difficile tutti e due). E non mi avventuro in ulteriori
eventi epidermici da saltare correrei il rischio di consigliare il bacio dell’unghia, delle
sopracciglia o dell’arco plantare, posti unici impossibili da tatuare, sembrando un
libidinoso deviato dall’utopia . E’ solo colpa dei tatoo, non è colpa mia. Ovviamente
scherzo con me stesso, per tenermi compagnia e fare riscaldamento (chi non l’ha
capito che scaldano più le parole?). Il miscuglio di monumenti, Colosseo… Arco di
Costantino..Circo Massimo conferma la regola del troppo stroppia e nemmeno li
osservo. Avete presente quelle case arredate con mobili d’antiquariato e tappeti
preziosi dalle quali te ne vai in fretta per non fare danni e per non chiedere in
continuazione..e questo cos’è?... di che anno è? Ecco, mi passa la voglia di guardare,
Roma ha troppi monumenti e troppe date da ricordare. Sarà una reazione al tè
aromatizzato al ginseng, non so, o semplice operazione di marketing: più sono
distratto, più sono logorroico meno penso allo stress della gara e appaio disteso,
rilassato e innocuo agli occhi degli avversari. E poi sono così e basta, se mi gira
scrivo un prologo di trenta pagine. Lo dicono tutti che i preliminari lunghi sono
graditi, o no? Risparmierò sulla cronaca della gara, la ridurrò a poche righe, a poche
parole. Tipo..partiti, arrivati. Esagerando ..eviterò anche la virgola: partiti arrivati.
Non accetto censure né obiezioni e così sarà. Nessuno mi paga e scrivo quello che mi
pare. E se dovessero pagarmi sarà lo stesso.
Mezza maratona in notturna: riscaldamento, part.__________arr.
Arrivederci e grazie.
T.(firma abbreviata)
Certe volte, per sentirmi meno solo accendo la radio e se sono a casa apro tutti i
rubinetti, il rumore mi tiene compagnia. Qui non serve e non ho nulla da aprire, posso
solo fare pipì. Poi a chi dovrei tenere compagnia?..a me? Non sono io qui, ma il solito
impostore…l’atleta impostore, e quindi non si tratta nemmeno di me. Io non ci sono.
Non posso perdere, ne vincere, ne sentire dolore al ginocchio sinistro, ne
commuovermi per il cane inseccolito.
In quanto la farai Tommà?...un’ora e cinquanta?..(non sono più solo è tornato Franco)
Spero di più.
Sei il solito pazzerello Tommà.
Dico davvero, io punto sempre a peggiorarmi, più tempo impiego e più gente
conosco, a me piace conoscere.
Tommà, tu sei pazzo.
Stanno per partire Tommà, ma tu perché sei così cattivo con te stesso ?
Sono critico, non cattivo. Nessuno ha il coraggio di esserlo e io sono un vigliacco
coraggioso e critico.
La parlantina scema e l’occhio si fa fisso allo start.
Si parte, sono disperatamente contento.
Franco mi sta accanto illuminato dai lampioni a basso consumo e dalle fiaccole, la
fatica è necessariamente reciproca. Lui è più giovane di me, devo accollarmi quindici
anni di bocciature per essere suo compagno di banco. L’avventura di 21 chilometri è
lunga e se non ti aiuti, se non copi, rischi un brutto voto finale.
A noi si aggiunge l’ilarità di Patrizio, un vero leader del divertimento, Koky e
Massimo, il più veloce che ci recupera ed incoraggia ad ogni cedimento.
L’acqua del primo ristoro è dolce e poco fresca, reprimo un colpo di tosse da strozzo,
un insetto mi rimbalza in faccia impressionandomi un pò.
Franco è il mio clone: barba di una settimana a pizzetto, poco spettinato, grasso di
cene con gli amici e una maglietta strana, troppo grande, forse un regalo senza
prendere le misure.
In un modo o nell’altro questa gara fa parte di me, sono troppo ispirato.
Libero un sassolino che mi si è ficcato nella gomma della scarpa sinistra.
Franco si osserva una mano con aria di studio.
Devi fare a pugni con qualcuno?
Macchè..mi fa male.
Passerà.
Quella ragazza ti guarda.
Macchè.
Quella guarda te.
Guarda me per arrivare a te Frà, gli piace il tuo completino tabacco.(sorrido)
Come per contratto, Franco si tocca una gamba, poi infila una mano in tasca alla
ricerca di un portafogli che non c’è, non sta recitando è solo nervoso.
Bandana rosso fuoco, un braccio completamente tatuato… mi sfiora una specie di
rockstar di un gruppo podistico di Velletri.
Franco è occupato ad osservare il didietro da ballerina di una runner giovane e in
carne. Ha i capelli a cipolla bloccati da un fermaglio gitano. Ci precede...e ci
precederà a lungo, mi sa, lo vedo troppo appassionato. E’ una mossa erotica
azzeccata che ci fa superare il quindicesimo Chilometro. Indispettita dallo scarso
pubblico (siamo in cinque) accellera e sparisce nella notte. Prova a farci luce un
anzianotto con i capelli bianco neon, ma non funziona..va forte pure per lui. Franco
ha la faccia isterica dell’uomo tradito, io sorrido.
Una bipede abbronzatissimo mi racconta di essere un bagnino di stabilimento
clandestino, per capirci.. di quelli dove ti offrono un lettino prendisole a 2 euro, senza
doccia e senza bar, forse pure senza mare. Mi chiede l’ora. E’ buio e mi butto ad
indovinare: mezzanotte.
Ci siamo, fa il bagnino rintronato di fatica ,di ex sole, di ex mare. Non mi sembra un
pozzo di ingegno.
Un dipinto di donna ci affianca e sorride per cortesia.
Potrei uccidere per un corpo così.
Pur’io Frà, ergastolo per due.
Per tre, replica Patrizio.
Pago il pizzo ad un ciccione in cedimento che ci faceva da tappo ed avanziamo di
posizione.
Fa un caldo bestiale, ripasso a memoria il segreto per fare una buona granita di
limone, mi si rinfresca la memoria, appannata.
Onoro le descrizioni essenziali con garbo ed attenzione, gli spettatori sono diradati,
più che diradati: in piedi, seduti, appoggiati, seduti in auto, qualcuno ascolta musica.
Abbiamo un nostro codice, Franco non parla più è come se l’avessero colpito in testa
con un randello pesante, sembra intontito.
E’ intontito dalla fatica(traduzione del nostro codice)
Seguiamo la scia di caldo di un gruppetto silenzioso, due uomini e una donna in
gamba ( ha un hot pants mozzafiato).
Frà , ti autorizzo a prendermi a schiaffi se perdiamo questa scia.
Vanno a sei, non li perderemo.
I tre ogni tanto si sussurrano nell’orecchio qualcosa, noi ci sentiamo inopportuni.
Un tipo strano, con il filo spinato in bocca, sorride a un mio passo falso sui
sampietrini. Il suo dentista deve essersi ispirato a un film raccapricciante per
conciarlo così, mai vista ortodonzia più stramba, un untore di tetano vivente.
I posti di ristoro sono carta straccia, siamo al diciassettesimo chilometro e nulla ci da
più energia.
Il trio ha smesso di sussurrare.
Rompo il ghiaccio : di dove siete?
..di Roma e voi?
..di Roma pure noi risponde Franco mentendo per due.
(lui è abruzzeseargentino..io provinciale) e Koky il peruviano è troppo lontano.
Franco si sfrega gli occhi come al risveglio, lo fa per fare qualcosa.
Il più alto del trio, un certo Mario, mi da la mano…siete simpatici, nessuno parla in
corsa..voi parlate e scherzate.
Sento amputata la mia ironia, qualcuno l’apprezza, non serve più.
Io e Franco siamo corridori portatili, facili da conquistare.
Abbiamo fatto un bel gruppo
E si, un bel gruppo.
Diciottesimo chilometro, affitterei volentieri una stanza qui, per dormire e per
scongiurare i tre chilometri mancanti, i più faticosi.
L’arrivo arriva ed è pure in discesa, un red carpet finale con fotografi inginocchiati
ad ogni metro, una via crucis fotografica.
Alziamo i pugni in aria come divi dello schermo.
Medaglia al collo e consegna del chip e del ricordo di un percorso tremendamente
difficile da non dimenticare, duro e poco illuminato e illuminante.
Tanto ristoro e un eccesso di drink mi agevolano un mal di pancia.
In ordine alfabetico i tre ci salutano..prima Diego, poi Mario, poi la biondina che non
so come si chiami, forse Venere, Zeta (per non smentire l’ordine).
Diego, sorprendendomi, aggiunge un abbraccio…ero al debutto sulla distanza e tu mi
hai aiutato Tommà. Sorride al mio imbarazzo, ha la faccia onesta e genuina da bravo
ragazzo.
La biondina che si era defilata torna indietro e si decide a parlare:
e ora una bella doccia!!!??
Insieme? Faccio io, istantaneo, serio e divertito.
E lei ride, ride, ride.
Pure Franco ride.
C’è tanta gioia improvvisa, ma ci salutiamo per interromperla.
Lo spunto per tornare a casa me lo da una frase letta poche ora prima..
-mentre guidava, a un certo punto il ragazzo alzò lo sguardo verso le stelle e si
commosse al pensiero della loro brillante distanza- ( Carver—Distanza)
Franco è ancora con me, pure lui guarda il cielo.
Il semaforo di via delle Terme è spento, sono le 3 del mattino.
Quanto costa mantenere un cane ?
Franco, strizzato di sonno nel sedile destro risponde alla non domanda.
E quanto vuoi che costi..i cani si accontentano di poco, a loro basta l’amore del
padrone e qualche vaccino.
Faccio un’inversione a U repentina,
un pullman mi lampeggia invelenito,
torno alla partenza.
Spero di ritrovarlo.
Il cane.