Miguel.

 

Fortuna che non fa troppo freddo.

L’accanimento terapeutico dei vizi,( i vizi curano), mi porta all’ennesima rinuncia,

La Corsa di Miguel è una replica, un dejà vu, una visione a rotazione e dare troppa importanza alle cose già fatte mi crea squilibrio, meglio evitarle.

Il mio stato d’animo somiglia alla mia ombra, tozzo e senza tasche, squattrinato.

Mi conosco a fondo come essere umano, penso che dentro di me c’è poco o nulla, un  baratro, un burrone, un inghiottitoio nero che sta nel tremolio, neppure è ben definito.

Ossessionato dall’acrilico, non indosso mai capi di lana, caldi, rassicuranti, né di cotone, meglio la fibra sintetica, la plastica, l’elettricità.

Gelo contro gelo.

E’ l’unica arma che ho per questo strambo duello con me stesso.

Un telefono pubblico che squilla in una piazza vuota, al quale nessuno risponde.  Troppo lontano, troppo assurdo, mi riporta in una realtà meno scabrosa, peggiorativa, ma pur sempre realtà.

Tutto il mio intorno si dipinge per caso. Annuso un fiore,  stringo una mano, sorseggio una bibita energetica. Non ci penso prima, svolgo l’azione o subisco l’azione con la muscolatura simpatica, senza accorgermi, quasi.

Tutto passa senza lasciare traccia né sporchi residui lavato nella vasca della mia apatia.

Alla mia età ho ottenuto più di quanto io meriti e desideri e questa è una volgarità tale e quale alla sorpresa di aver vissuto così a lungo senza pensieri gravi.

Alla mia età posso essere sporcaccione, fissare le ragazze negli occhi senza essere scacciato dallo sguardo, e a volte mi sorridono pure, povere sceme. Faccio tenerezza.

Schifosa tenerezza.

Nella corsa, mi sono trovato ad ottenere buoni risultati ma con un torpore interiore e l’incapacità di essere contento proprio per evitare di gestire il dopo contento, quella malinconia profonda che si affaccia dopo la gioia ed è lo scalpiccio dell’anima. Un anima smossa, detenuta in un carcere con sbarre romboidali, incrostate di insicurezza.

Se non sei sicuro di te non puoi vincere e io mi chiedevo..perchè ho vinto?

La coppa, il premio, li nascondevo nella borsa proprio per non dover giustificare quello stato morale abissale del vincitore pentito o addirittura dover motivare la vittoria e raccontarne i dettagli ,come fosse una situazione da dover giustificare. L’immagine più bella di me che ricordo, in ambito sportivo, è quando sbagliai percorso e non vinsi una gara già vinta. Sembrò un gesto di generosità verso i battuti, che difendo sempre ad oltranza. Vennero a ringraziarmi per quel premio inaspettato.

Fu un bel momento.E non è una cazzata, vi darò data e riferimento geografico. Anzi eccola : 1983—Torrespaccata, il nome della festa non me lo ricordo. Ogni gara era associata ad una festa. Festa di preti o festa di comunisti. Davano più cose i comunisti nelle loro feste dell’unità e i ristori non erano te e gallette, ma tagliatelle tirate a mano. Di gare dei preti ne ho vinte tre, anzi quattro. San Barnaba a Torpignattara.

San Tarcisio a Quarto Miglio. San nonmeloricordo al casilino 23 e San nemmeno questo a Torrespaccata. Mai visto un prete alla premiazione. Mai beccata una lira. Ti abbuffavano di cornetti, di santini e medagliette. Sarà per questo che le vincevo, quelli forti avevano altri cavoli da pensare che mangiare cornetti inseccoliti.

Se ci aggiungo quella non vinta diventano 5. Mi ero rotto i coglioni a vincere semprele gare parrocchiali.

Non prendetemi per matto, era proprio così.

Conoscete la pittura concettuale? Quella dove domina l’invenzione? Ecco, l’idea di vittoria per me era un concetto da inventare.

Se non vuoi sentire la musica non devi alzare il volume, devi abbassarlo.

Io correvo ed alzavo il ritmo per non vincere, per perdere, per crepare di fatica prima del traguardo.

 Ma se sbagliavo i calcoli, vincevo ed ero fregato.

 Diventavo un non ucciso dalla fatica.

 Non riuscivo più a sparire dalla circolazione, mi toccava il podio.

 Lo so è complicato capire, ma fa nulla se non si capisce l’idea del non ucciso, tanto è solo un’idea.

Miguel è un non ucciso.

Tutto questo penso 5 minuti prima della partenza.

Non sono sicuro di esserci, ma lo penso.

E’ un’idea pure esserci.

Grandioso, no?

Troppa gente, non sono bastati neppure i pettorali. Più di 5000.

Non si spiega il successo di questa gara.

Un percorso, piatto,stupido, neppure troppo centrale, con curve poche e a gomito, addomesticato da un Tevere nudo e degradato.

C’è lo spot di Miguel, sarà per questo.

Un pubblico numeroso, anzi volevo dire numerato, sembra proteso ad applaudire, ma poi rinuncia non riuscendo ad individuare i reali protagonisti della gara e la ragione  perché applaude.

Mi sento un po’ tradito, Franco non c’è. (o non ci sono io?).

Un imbuto, stretto , lungo, asfaltato a dovere , foderato di corpi umani scorrevoli.

Una partenza insolita, artificiale.

Uno stormo di stormi, una macchia scura acrobatica, irregolare, frastagliata, dipinge nell’azzurro evoluzioni monocrome, fantastiche, trasversali, abbaglianti di nero.

Rogito in fretta i miei venti centimetri di asfalto.

Ripasso a memoria i supermercati che conosco per rilassarmi. Gsconaddiperdìelitepanoramaipercoop.

Funziona, e mi ero pure dimenticato triscount unico.

Intorno  tutto è verde.

Tutto è verde, il campo di calcio, il campo d’atletica, il campo di cipolle degli Extra.

Sto fermo a rotta di collo.

Mi controllo i lacci delle scarpe e le mutande.

Franco è un souvenir, non c’è.

Franco non l’aveva mai fatto prima, senza avvertirmi.

Si sarà ficcato in un pasticcio.

Forse sta male.

Non ho sue notizie.

Tutta questa gente non mi tiene compagnia per niente, mi ha solo stufato.

Neppure sono andato al bar.

Ho insegnato a correre a Franco.

Gli ho detto: ecco la corsa, non disturbarti a fare da te, si fa così.

Gli ho insegnato la tecnica del silenzio.

Questo è il ringraziamento.

Mi ha lasciato solo.

Solo a Miguel.

Mi sento come quando da ragazzino mi rubavano la cartella, se la passavano sopra la testa senza farmela  prendere e poi la gettavano più lontano possibile nella scarpata.

Tutta questa gente qualcosa deve avermi rubato, anche se non ho la più pallida idea, cosa.

La cartella quando me la ridavano annoiati dal mio non lamento, dalla mia passività, era infangata, chissà cosa mi ridaranno, qui, di sporco.

La poco fredda mattina si trasforma in poco fredda mattina.

Nulla cambia.

Piccoli sprint tra la zona piena e gli alberi servono solo a fare pipì.

Parte la gara.

Parte e finisce.

Qualcuno dietro mi urla: fermati figlio di puttana,

non hai il biglietto.

Mi fermo.

Senza fiato, aspetto Miguel, partito lento.

Sono 10 anni che corre questa gara e lui sa, come deve partire.

Seppellisco in giardino le mie velleità agonistiche e lo aspetto.

Attenzione, non mi va di sentir dire, non c’eri, che cavoli ti scrivi e vattelapesca.

Pure Emingway non c’era e scriveva di avventure in mare.

Pure Carver non era  accoppiato e scriveva di storie di coppie.

Pure Wallace non era schifoso e scriveva di uomini schifosi.

Io non c’ero, non correvo e scrivo.

Fatevene una ragione.