La Corsa di Miguel Sul finestrino vola il vento, vola il caldo, volano le gocce di rugiada di un Gennaio strano. Fuma sigarette morbide Annibale, il cilindro di carta appassito in bocca è piegato verso sinistra, la cenere cade nel labirinto di plastica del tappetino. -Proprio necessario fumare in macchina? -Tò, dopo tante fregature devi rompere proprio oggi che sono tranquillo. -Se continui così fai diventare tutto quello che abbiamo fatto in allenamento una fesseria, e questa abitudine di cominciare le frasi con il mio nome te la tolgo, te la tolgo eccome. -Sei troppo nervoso, Tò. -E di finirle! Posteggio su un pezzo di prato acciaccato da decine di impronte. A gennaio quello che trovi ti basta, ti basta pure un pezzo di prato disastrato. Annibale è diventato deprimente e non c’è distanza sufficiente per non accorgermi che sono io la colpa del suo stato, l’automobile è un terreno neutrale sul quale non avevamo mai litigato prima. Lui ha smesso di diventare adulto trent’ anni fa, mi sento la persona giusta per dirlo. Per colpa di sua madre non è stato mai isolato, e questo ha incorporato la sua fragile ingenuità nei suoi guai e nell’impossibilità di risolverli perseguitato dall’idea che dopo una semplice confessione Tò o chiunque altro sarebbero diventati il suo giubbotto di salvataggio. L’ultimo dono di sua madre fu quel fissarmi negli occhi e come a un tavolo da gioco pronunciare il mio nome. Non sarei tutt’ora in grado di spiegare quel Tò, non potevo certo fargli da padre avendo la stessa età, ma a uno così comico, buffo e vulnerabile come me, potevo benissimo fare da fratello. Scendo dall’automobile, mi aggiusto la tuta, guardo se ci sono divieti e quando ritrovo un argomento minimo di conversazione lui si dimentica subito di rispondere e stringendo la mascella con ambo le mani per sostenerla dice: - Sono tuo fratello, Tò. Che posso replicare a uno che parla e ragiona così? Niente, e non replico niente, appoggio il braccio sinistro a uncino sul suo collo unto di rughe e punto verso lo Stadio ritrovando il piacere di apparire in pubblico. Sebbene la competizione rivesta il ruolo centrale, il vivaio umano riesce a creare una baraccopoli di pensieri che va oltre l’odio competitivo, oltre lo sparo in faccia, oltre quel prodigio di esclusione che è il ritmo ossessivo. Sul piano scientifico non riesco a spiegarlo, ma dopo la scazzottata platonica con Annibale e l’incontro con centinaia di uomini e donne che non vedono l’ora di farci a brandelli sento una strana pace. Mi vergogno di non essermi innamorato prima dell’idea che il mondo della corsa faccia diventare tutto diverso, innocente, puro, tascabile come un giornaletto divertente, anche se so bene che dopo la cometa dei dieci chilometri si tornerà alla sporcizia del brutale materialismo e questa parentesi resterà una parentesi crudele. -A cosa pensi, Tò? -A quanto sei scemo. -Per ricordo di quanto sono scemo vorrei bere un caffè in un bar di prima scelta, si può o ancora ti gira? -Non mi gira. (Rido) Il dialogo essenziale si mischia al bagliore dei flash e ai bassorilievi di squadre intere che continuano frenetiche a fotografarsi vicino ai loro stands che non mostrano niente se non qualche corridore allampanato che come campagna promozionale ha scelto di sorridere a chi passa. Una riserva naturale di palazzoni eleganti e sabbiati dal tempo esclude ogni forma di vita vicina alla caffeina. Le nostre relazioni sociali si limitano a qualche saluto scompagnato agli amici, la struttura filosofica del dialogo è uno stravagante ciao romboide sottotitolato da un sorriso riciclato. Faccio bene a tenere conto che non sempre rispondono al saluto perché lì è tutto troppo aperto, magari in un corridoio sarebbero obbligati a farlo. Il chiosco bar che troviamo sopra il Tevere ha il classico odore e colore di prefabbricato movibile riverniciato e non mi viene di dire "ecco il Bar". Le imposte laterali chiuse da scritte oscene, decalcomanie pubblicitarie, mosche essiccate, dirottano chi ha voglia di qualcosa davanti, come con un corpo femminile. L’interno è grande e fioco quanto un hangar per madonnine di plastica. La barista ha una camicia a quadrettoni, due lacrime disseccate sotto un occhio, e il segno bianco di una fede tolta da poco all’anulare sinistro. Non serve prendere appunti per capire la situazione. Una bocca chiusa con ago e filo si muove appena e un rossetto color terra solleva grosse zolle per dire: - Prego? Ci afflosciamo sul bancone di latta, io vedo mezza lei e lei vede mezzo me, la bobina gemellare mostra lo stesso film, la differenza è che noi siamo più in luce. Le sue dita le sento dibattersi sotto lo scroscio del rubinetto, sono senza smalto, tutto è naturale, pure gli occhi hanno lo stesso colore della pelle, chiara. - Deciso? Fa finta di sfiorare la cassa, ma non conosce il nostro desiderio, può solo provare a indovinare. - Allora me lo dite cosa volete o vogliamo aspettare il tramonto insieme? - Si che glielo diciamo, due caffè. - E ci voleva tanto. - Eravamo concentrati sull’insegna che non c’è. lo dice un Annibale con l’occhio umido, romantico e speranzoso. Quando Annibale cerca di dimostrare di essere perbene combina disastri. Bevo il caffè stringendo la tazzina con tutt’e due le mani per nascondere un traffico di tremito. Sono un uomo che ama la natura, lo sport, le feste paesane, la buona tavola e non ambisco ad altro, quel tremito cosa c’entra? La donna comincia a studiarci con attenzione diversa, a vedere cosa c'è nel nostro cofano aperto, se c'è ragione, follia, scherzo , o un goffo e innocente tentativo di seduzione. - Bevete il caffè, che è meglio. Non riesco a strapparmi dalla scena semplice che vedo e rispondo: – Sì, vicino a lei è proprio un piacere. A pagina sedici di ‘Colpisci una donna in tre mosse’ c’è una ragnatela di proposte, ma non ne ricordo neppure una. Certe cose le puoi leggere una dozzina di volte, ma se non sei portato non sei portato, e lei non aiuta, lei non si fa osservare, il suo volto è come un gioco degli specchi che mi fa perdere il continuo, non quello che c’è dietro, quello che c’è dopo. -Senta un po’, entra sempre così nell'intimità della gente? Non si fa mai scrupolo di niente? La sua competenza intimidatoria mi sorprende. -Ho solo detto che mi piace stare qui. - E non lo dica più, va bene? Mi fissa sempre più intensamente, ma è come se mi guardasse il colore degli occhi e non gli occhi, poi con l'affanno di chi non prende respiro da più di un minuto o che ha imparato a respirare da poco fa un gesto di rassegnazione. Sto fermo lì a imparare a memoria la cotta per quel movimento. Il caffè, freddo e con colore diverso, ha formato un alone in quella che sembra una tazzina d’emergenza. Un alone perfetto disegnato con la bic. Ci soffio dentro fingendo che ci sia caffè ancora bollente adatto a schiarirmi voce e ottimismo. Lei è il nostro panorama unico, lei è la nostra maschera di bellezza. Sistema la pubblicità di un gelato in coppa con movimenti lenti da silenziosa cantilena meditativa. -Se passa l’angelo ci rimane così. -Così come? -Arrabbiata. -Non sono arrabbiata. -Ha scelto lei questa musica? -L’ha scelta la radio. -E’ molto bella. -Lo vedo da come chiudi gli occhi per ascoltarla meglio. -Sono inceppati per colpa del freddo e grazie per il tu. Ride, ride spalancando la bocca come ridono i bambini, poi mette la mano destra sulle labbra e sugli occhi cercando di nascondere l’allegria che forse non le spetta. -Vi va un cornetto? Li ho sfornati cinque minuti fa. Offro io. -No, non è corretto che due medici mangino brioches con la loro paziente alle nove del mattino. -Fermo fermo fermo, e quali sarebbero i medici? Voi? Ma lo sapete che la prima cosa che ho pensato quando vi siete avvicinati è stata questi sono fuori di testa ad andare in giro in tuta arancione, e poi la storia dell’angelo che passa me l’ha confermato.(Ride) -Non abbiamo scelto noi il colore, scusa. -E che scusa, non devi chiedere scusa perché siete buffi. - Va bene. Si ammutolisce, apre il fermaglio di un borsello di plastica e accende una sigaretta, le mani tremano pure a lei, non ho mai abbracciato una sconosciuta ma l’abbraccerei. In concomitanza al suo silenzio con due bocche una per parlare e l’altra per stare zitta ci fa una mappa dell’ Est e della distanza, che ad ogni boccata di fumo aumenta. Ci mostra la foto della sua famiglia, le leggo negli occhi una nostalgia impaurita. Il lungo spiegone fotografico è tenerissimo, lo osserviamo con tutta l’amicizia estemporanea che riusciamo a raccattare. La sua attenzione è meno simbolica ora, sta testando un nuovo prodotto, noi. Ha davanti il falò, e si scalda le mani sulle nostre tute stravaganti. La mia straordinaria non esistenza sparisce , e anche il nostro fiasco agonistico anticipato non sembra più un fiasco e anche la nostra insicurezza è più sicura. Che se ci penso bene non è malaccio come giornata. Il saluto è un bacio sulla guancia a una batteria da sei volt frizzante e amarognola. Lo rinforzo sussurrando il suo nome che ha la sonorità di una marca di biscotti. -Perdonaci se la nostra libertà comprende anche quella di essere petulanti e irritanti. -E cosa devo perdonare, siete proprio carini. Ci allontaniamo per colpa della gara. Una succursale di quello che abbiamo visto ci accompagna fino alla partenza. Entriamo in non confidenza con cinquemila corridori. Tutto intorno è meno antico della mia giovinezza. Alle dieci in punto La Corsa di Miguel parte, partirà. Onda tre, l’ultima, con dietro il nastro della non competitiva. Non vi fate ingannare dal numero, cinquemila persone sono cinquemila persone che non si dicono niente. E io mi metto in proprio con il mio ritmo e i miei pensieri. Che ero venuto qui proprio per non pensare. Carmine è un amico solido e ogni tanto si gira per vedere se io e Annibale ci siamo. Walter che è pacifista convinto evita gli avversari e li supera, noi compresi. I sostenitori della teoria che La Corsa di Miguel sia una gara veloce devono ricredersi, dopo quella partenza strana e dopo qualche tratto di lungotevere inizia una gimkana continua che manda in bancarotta tutte le nostre ambizioni cronometriche. Centocinquanta metri di volata nello Stadio dei Marmi sembrano mettere tutto a posto, ma così non è. Un batterista in alto fa miracoli per dare ritmo alla giornata. Somiglia in vecchio a quel Michael Shrieve che qualche anno fa tormentò la gente di Woodstock con un assolo memorabile sotto lo sguardo pregiato di Santana. Non ci sono altre stranezze da raccontare. La medaglia la danno solo alle donne. L’acqua a tutti.