Bello che morto. L’obiettivo del cielo è schiarirsi lentamente, senza fretta. E non lo fa. Durante la notte l’aria umida ha bagnato le auto e i cassonetti della raccolta differenziata li asciuga il vento. Nel quartiere ti rendi conto del cambio di stagione dal loro odore, non hai altri odori a disposizione per sentire sconfitta la tua voglia di vivere da un’altra parte. Tutte le donne che ho vogliono fare colazione con me e la sensazione che la richiesta sia più autentica di altre mi fa pensare che il loro ancheggiare mattutino davanti al divano e sei telecomandi inservibili sia viziato dal timore dell’abbandono. E c’è da restarci stecchiti a trovare su quello stesso divano un Annibale che alle sei del mattino ancora ronfa perché la sera precedente ha litigato con la sua compagna e è stato inutile fantasticare di risolvere il problema perché problema non è. Ho fatto l’abitudine a inciampare nelle sue scarpe immortali e puzzolenti ogni domenica mattina, e che se nessuno se lo ricorda oggi, e il trucco sta nel non ricordarselo, è domenica ventitrè, ventitrè marzo, e a Roma un bel mucchio di gente senza fare ragionamenti troppo complicati correrà la Maratona. Ore 8,--------- , quella tra le due virgole è la quarta sedia a sinistra del Bar Colle Oppio. Quella dove sono seduto. La quinta è di Annibale e del suo malumore da convalescente. Chi arriva non va molto per il sottile, in posti strani e scomodi lì intorno, senza riparo, ingrassa le gambe nude con creme che puzzano d’ospedale mentre sogna un percorso mentale lunghissimo e più decorativo di quello reale che resterà in testa vivo e vegeto per secoli. Il bar a picco sul Colosseo lo fa apparire come una minuscola sottocategoria di monumento annaffiabile. -Questa sedia non è una panchina, prima o poi dovremo ordinare qualcosa. Fisso intensamente gli occhi del cane nel preciso istante in cui lui fissa i miei con inscalfibile sicurezza. -Gli piaccio sicuramente e mi vuole bene, vero piccolo? Dico. Accarezzo il collo peloso, Benny si allunga in avanti per offrire più corpo possibile. Beviamo il caffè in un minuto e Annibale cede al suo cane un rimasuglio di cornetto al marron glacè. Senza esplorare rapporti affettivi e senza annusarlo Benny lo ingoia. Incurante di tutto quello che avviene intorno, di quella foresta di magliette rosse numerate chiedo: -Come stai? -Sto bene Tò, sto bene, ma non mi chiedere più di me, non ne vale la pena. -Ultimamente tu e il denaro non andate d’accordo, credi che non me ne sia accorto? Aver bisogno degli altri è spiacevole per lui, una penosa dimostrazione di debolezza che rifiuta trasformando i suoi debiti in tesoro. Fa finta di guardare l’ora sull’orologio che gli ho regalato per il suo compleanno, quando è in imbarazzo si rifugia lì, in quell’oggetto misura tempo rassicurante con la sua plastica colorata. -Fidati Tò, la vita mi vuole molto bene e va tutto bene. Grazie. Il suo viso ora è color lambretta grigia. Grigio. Una voce fuori campo… -Manca meno di mezz’ora, laggiù la corsa dell’anno sta per partire e voi vi spaccate il fegato al bar? -Ci lavoriamo su da un bel po’, ma non si spacca. -Sembrate due ritardati a restare qui mentre sono tutti in fibrillazione. Dall’alto Via dei Fori sembra una piscina riempita d’asfalto, solo voi non sapete d’essere arrivati, migliaia di runners sono in movimento. -Correremo la Stracanina, e significa che allo sparo fuggiremo nella direzione opposta. -Non ti credo, mi sono già dilungata abbastanza nel crederti, però sembri sincero e poi avete il cane. -Benny, si chiama Benny e non è il cane, è il nostro cane, oggi non ci sentiamo pronti per la Maratona. -Capito, ve ne prepareranno una apposta quando sarete più comodi. Il suo occhio in luce è più massiccio di quello in ombra, mi appresto a percepirne il colore con antipatia. Risponde l’uomo interno, quello meno interessato al dialogo, più che interno di servizio: -Si, oggi non siamo partecipanti ufficiali, ma abbiamo la maglietta rossa. -Nessuno se ne accorgerà, ci potete scommettere. E questo povero cane che colpa ha? Cosa l’avete portato a fare? -Sta cercando una compagna. (Rido) -E come la vuole? -Bionda. -Ci casco sempre nelle cazzate che dici. -Dai siediti, manca mezz’ora , bevi qualcosa con noi. -Si, prendo un mojito, anzi un cuba libre….ma va va, non mi mischio ai pazzi, io sono venuta per correre davvero, voi siete fuori di testa. Annibale si da dei colpetti sulla testa, una specie di linguaggio morse con il cervello per mantenersi coscientemente attento. -Mi sembra poco rispettoso verso chi si prepara tutto l’anno. -Cosa ti sembra poco rispettoso? -Quello che scriverai. -E come fai a saperlo, vedi l’inedito? -Vedo te e ti conosco bene, ti conosco bene. -Quello che scrivo è gioco, solo io sono reale, toccami. -Ho appena ritrovato un uomo straordinario e reale, non ci posso credere, pensavo fossero terminati. -Le faccio una smorfia brutta, affettuosa, ma brutta. -Spediscimi un pezzo dell’ uomo straordinario alla partenza, io vado, non la testa, quella non mi interessa, è vuota, Tò. Anzi spediscimi lo straordinario che ho conosciuto vent’anni fa, quello di adesso è bello che morto. Su quella sedia da barbiere invece di fare la recensione di se stesso farebbe bene a dare un’occhiata intorno, non vede quanta gente felice di correre? -Fanno finta. -Ah, vengono da tutto il mondo, da tutta l’Europa a far finta? Tu sei veramente poco rispettoso. Ed è la sua la figura di spalle che si allontana. Devi mettere cinque euro nel barattolo delle parolacce, Tò, se dirai parolacce. -Non le dirò e non sarò la preda, non affonderà più i denti nella mia carne. Io che vivo da anni in questo mondo sarei poco rispettoso solo perché mi sono permesso di scherzare? - Tò, calmati, siamo qui per divertici. Non puoi farti del male per colpa sua. -Quanto manca? -Quindici minuti. Ho bisogno d’aiuto, più chiaro di così non so dirlo. Ho bisogno di qualcosa che renda meno amaro e infelice questo preludio. Ci avviamo per la Stracanina, è fondamentale per il nostro equilibrio pensare che siamo qui soprattutto per correre, aspetteremo poi l’arrivo della Maratona. Il percorso non è malaccio e i corridori che accompagnano i loro cagnetti sono troppo carini, riescono nel difficile compito di cancellarsi come padroni e diventare compagni di divertimento. Benito è molto in gamba e la sua corsa pura, naturale, disciplinata. Tutto finisce abbastanza presto e senza pioggia, quattro gocce e basta. Dopo aver consumato un ristoro abbondante e fin troppo salutare per noi al Circo Massimo ci spostiamo al nuovo arrivo della Maratona. Il Colosseo ora è a portata di mano. L’aria è mite, il colore del prato è mite, le mura antiche sono miti. Arrivano i primi, i secondi e i terzi, arrivano gli altri. Arrivano i nostri maratoneti inediti Massimiliano e Walter. Io e Annibale fermi, immobili, come due segnali stradali non salutiamo nessuno nemmeno i più conosciuti sentendoli in colpa di averla corsa senza di noi. Così messi ci sentiamo due impostori. -Devi ridarmi indietro qualcosa, Tò, urla la nostra amica vistosamente felice dopo aver superato l’arrivo. Sorpreso e incuriosito da tanta vitalità mi avvicino a lei dopo il traguardo e le offro da bere da una minerale incominciata. -Sei arrivata, stavo per andarmene. -Sei il solito stronzo, ecco che sei. Non parlare, bevi, il tuo corpo è come una prugna secca e vuole liquidi. -Cosa vuole il mio corpo lo so solo io, per approssimazione, ma lo so. Tu devi ridarmi indietro qualcosa. -Che? -Devi ridarmi indietro la smorfia brutta, quella prima della partenza, è stata lei a darmi la forza, a non farmi cedere quando tutto aveva ceduto. -Ma che ti viene in mente. -Sei un unguento che aumenta ogni dolore, sei nocivo, Tò, ma a volte funzioni. Si commuove. Annibale che ha un’ostinata visione romantica di tutto quello che esiste accosta i nostri due volti al suo smanacciando un abbraccio stretto, affettuosamente ruvido. -Facciamoci una foto, dai, una foto così, tutt’e tre. Tutt’e quattro, c’è Benny non dimenticatelo. -Ho sempre pensato di morire presto, non mi sono mai immaginato vecchio e ora che sono vecchio mi chiedono di fotografarmi, d’accordo facciamoci questa foto. Ricompare la mia smorfia che ha perso i connotati di brutta trasformandosi in dolce e remissiva. Nessuno la nota, e chi la nota pensa al festeggiamento di un successo cronometrico, a un record. A uno sbaglio espressivo.