Roma by night. Ai miei amici cresciuti all’aperto delle gare avevo detto: questa è l’unica mezza che si corre di notte in un sito unico al mondo: Roma, teniamocela stretta. E gli organizzatori hanno lavorato alla grande, c’è cibo, c’è musica, c’è lo strofinaccio dei massaggi gratuiti. Quelli del Nordic Walking orgogliosi della loro specialità per anziani si tengono a distanza, partiranno dietro e faranno la metà dei ventuno. Il corpo estraneo di una bella ragazza del Veneto mi accompagna per i primi dieci chilometri, poi restare solo si rivela un rito dolce e imprevedibile con l’effetto balsamico del silenzio e delle luci calde al led che non mi sento di escludere dalla mia cerchia romantica. Correre si trasforma in esercizio ginnico lento, ripetuto, quasi confortevole. Sono io a accudire le mie decisioni organizzative anche se mi rendo conto che non si tratta di me, in quelle decisioni non conto. Dalla ciclabile osservo il ritratto in bianco e nero del fiume, i platani grossi e sporgenti, l’ombra del mio sforzo ornamentale. Tossisco per avere una compagnia vocale. Sta a lungo lì il fiume, a una certa distanza che giuro non è distanza. Ho la sensazione di essere l’unico testimone presente. Un ragazzo di colore in bicicletta mi sorpassa con velocità innaturale, sembra avere fretta, forse è in fuga e di punto in bianco ha velocizzato la sua pedalata. Per quelli sul percorso sono diventato una seccatura, ma non mi osservano con disprezzo, ai loro occhi sembro un animaletto investito. E io mi sento un animaletto investito. Spostano le transenne con devozione, al mio passaggio è tutto finito. All’arrivo Carmine e Valter in abiti non da corsa sembrano due golfisti rimpiccioliti. La loro pazienza nell’aspettarmi in ogni gara è esageratamente amorevole. Valter ha raccolto la mia tuta, ha ritirato il pacco gara. C’è un traffico di gente in fila per la cena offerta dagli organizzatori. C’è ancora qualche canzone. Per l’amor di Dio, dico, facciamoci una birra ho solo voglia di bere. Raggiungiamo il taxi di Valter al posteggio del Foro Italico, io mi rilasso gradualmente, sul marciapiede più illuminato, quello di sinistra. Parcheggiamo di nuovo a Ponte Milvio in salita circondati da giardini verticali. Diventiamo il difetto di quel posto, ci sono centinaia di ragazzi e ragazze giovani, belli e ben vestiti. Maneggiano bicchieri all’aperto come fossero detriti, fumano sigarette vere, ridono appoggiati come evoluzioni metastatiche alle loro automobili esclusive . Sembra il sogno di uno tenuto sveglio. Senza voler fare prediche dico che qui se ne infischiano di quello che succede nel mondo. Sarei disonesto a dirlo in un modo migliore. In un bar con la cristalleria e mozziconi di pizza ripiena un cameriere goffo, precipitoso, vestito di nero, sul palco alle nostre spalle fa verificare tre birre scure. Per non parlare dei classici problemi di chi ha appena fatto una gara facciamo sorsate lunghe. Mandiamo messaggi. Riceviamo messaggi.