Casa mia, ore 8 … certi frammenti di quel giorno non li ricordo bene, ma il dialogo, suppergiù, era questo: che ore sono? -Le otto, dove devi andare? Mamma ha un’arpa nella gola e una voce melodiosa, ora che ci penso non ho mai sentito una sua voce diversa, tipo dolorosa, nemmeno quando è morta nonna era dolorosa, mi sa che non le riesce essere dolorosa. -Ho una gara a Treteste. -Qui vicino? -E si, è lì che tengono Treteste. -Parla bene.. ..invece di cercarti un lavoro… -Di domenica?..e che trovo di domenica. -Non ho ancora capito che lavoro cerchi, uno con il divano attaccato? -Un lavoro dove non ti abitui. -Uhm…e dimmi. -Un lavoro dove c’è la sorpresa. -Come a Pasqua?..alla tua età avevo già due figli io. Due! -E chi erano? -Tu coglione e quell’altro tonto di tuo fratello. -Ah. -Un giorno ti tirerò qualcosa di pesante da lasciarti secco nel letto. -Così dimagrisco sulla pancia. Mamma non ti importuna, non ti punta gli occhi addosso, ti prende di sguincio, di lato, ma ti prende. -Trovati una ragazza piuttosto. -Ce l’ho ce l’ho . -Sarà una tonta come te. -Non offendere, non è tonta nemmeno per niente. -Hai qualche soldo almeno? -Finiti. -Finiti in quelle slot del cavolo, ci scommetto. -Ho giocato la squadra, se va bene raddoppio. -Ma proprio a me doveva capitare un figlio così scemo, proprio a me? -Me ne vado, o.k? -Fai una colazione abbondante prima così non ti vedo per un bel po’. -C’è il miele? -C’è tutto. -E dov’è?.. non lo trovo. -E che trovi mai qualcosa tu?... -Dov’è sto cavolo di miele? -Ora vengo in cucina e ti ci faccio lo shampoo.. -Continui ad offendere però. -Oh..mi perdoni , la prossima volta sarò più delicata e gentile, ma la prossima eh, non adesso. -E’ sparito il mio cappello.... -Ci giocava ieri Gina, sarà nella sua cuccia. -Giocava con il mio cappello? -E che ne so io…attento eh che rischi l’insolazione. -Che se l’ha bucato la infilo nel forno. -Tu non vali un’unghia di quella cagnetta, ti ci infilo io nel forno e a pezzi, tieni a posto nulla, solo i tuoi libri e nemmeno quelli. -I libri sono fatti per essere letti non per stare a posto, ti gira forte eh..hai litigato con papà? -Lascia perdere tuo padre, si sbudella per mantenere il capolavoro che sei, ma davvero ti sei fatto la ragazza?... -Non ancora, siamo agli inizi. -Parla bene con me o davvero ti faccio visitare il pronto soccorso. -E che ho detto? -Attento Tò, attento. Esco con la contentezza di non essere contento. Do un ultimo sguardo alla stanza: la sedia della cucina ha un’ammaccatura, la luce delicata e romantica filtra da una tendina di organza bianca creando un contrasto luminoso talmente basso sulle maioliche che sembrano tutte uguali. Tre garofanini sopravvivono in una succursale di coccio stretto, il vaso originale più grande è vuoto, sta fuori, sul davanzale, al sole, inutilmente. Il mio effettivo arrivo fisico al parco con un prudente calcolo approssimativo si può quotare intorno alle ore nove. Posteggio l’Opel di papà, quella color dente piombato, lui dice canna di fucile, a me sembra dente piombato, nel diamante d’asfalto vicino ai gonfiabili e alla sbarra. Dei nastri semispiegano che lì in zona c’è una gara. Un finto ciccione con un finto giubbino anti proiettile nascosto sotto una giacca da finto giudice aspetta sereno il primo infarto, intanto sposta da una mano all’altra una bandierina per attenuare il bruciore muscolare al braccio, ho la sensazione che gli piaccia stare in quel posto e basta, senza fare niente. Ha occhi nascosti da occhiali da sole, nel taschino sinistro ha penne colorate , una matita senza gomma e un pacchetto di Camel da dieci, con due colpi di tosse intervallati spazza via il catarro del mattino. Scendo dall’auto già stracco dando l’impressione di aver viaggiato per ore. Il portacenere calamitato si schianta sul sedile scodellando una marea di scontrini e cicche, qualcuna con rossetto appiccicato. Papà ci tiene al settore anteriore dell’auto e alla decalcomania di Padre Pio, dietro non ci tiene.. c’è una discarica di giornali e inserti letti e non letti. Il dietro è come se fosse un'altra macchina. Raccolgo e spolvero con un vecchio cruciverba, il sole non è rovente, ma l’idea bizzarra che fa caldo mi fa stufare subito. Tre donne di colore panchinate e addomesticate dalla confusione masticano gomma che scoppietta tra le labbra. Non puzzano le donne di colore, quelli dell’est si che puzzano, di cipolla. Che proprio ieri ero in metro in un posto seduto e mi si appioppa vicino uno di loro. Mi sono vomitato nello stomaco per come puzzava, l’ho raccontato ad Annibale e mi ha detto che sono razzista e che lui non si sarebbe mai vomitato nello stomaco, secondo me si sarebbe vomitato eccome. Che tutti gli uomini dopo i quaranta puzzano, pure papà puzza, gli voglio bene, ma quando torna da caccia puzza di pipa e quaglie morte. Accorcio le maniche della felpa così si vede il tatuaggio di filo spinato intorno al braccio destro. Non so neppure che significato dargli, tutti quelli che hanno tatuaggi quando li descrivono dicono che portarli sulla pelle li fa stare meglio. Se dovessero chiedere a me direi: era quello che costava meno e me lo sono fatto, non sto mica meglio eh. La prima azione di ogni corridore è fare pipì nel gabinetto mobile, che una volta abbiamo spostato quello con Annibale dentro da sbudellarci dalle risate. A me non scappa, per non fare lo scontroso mi ci ficco pure io dietro agli altri. Un bambino sotto il metro osserva la mia fila e le sorsate di minerale spostando la testa ad ogni bevuta per seguirne il percorso. Ha un pulloverino color ceci in scatola e una mamma con un fuseau corto che lascia scoperte le ossa delle caviglie. Il servizio d’ordine o non esiste o è in assemblea al bar . Un vecchio, astemio, con giubbetto colorato di plastica se ne sta impalato aspettando qualche comando con la pressione sulle spalle di un bel palazzone popolare senza balconi. La proiezione di un litigio dietro le finestre attira solo la mia attenzione risultando abbastanza chiaro che qualcuno sta piangendo al secondo piano. Si affaccia una coppia, lui la stringe da dietro, sembra amorevolmente, non si capisce se hanno fatto pace, lei guarda lontano come se ci fosse il mare all’orizzonte, il suo sguardo è più vuoto del vuoto. Un cazzotto sulla spalla è il saluto di Annibale. Annibale è buffo come me da ragazzo, ha lentiggini sul naso, un ciuffo rosso che gli attappa un occhio e una voglia di happy meal sullo zigomo destro. Inseccolito, di stampo fiacco, intontito da un perenne sorriso falso che sembra sciogliersi nella gola e scendere nell’esofago fin dentro lo stomaco, sorriso acrobatico di timidezza, mi sa. -Hai i soldi? -5 euro -Ci scappa un gratta e la colazione. -Io non gratto Tò. La cassiera ha la nostra età, un telefono spalla orecchio sinistro e una posa da violinista, due occhi dove hanno versato con l’imbuto inchiostro nero e una laurea specialistica in quel che succede agli altri che la costringe a non farsi gli affari suoi. -E’ la vostra prima gara vero..avete il numero spillato capovolto. -Per me la terza. -Per me la quarta… mente Annibale osservandogli le tette appuntite. La battuta di Annibale non serve a divertire, ma ad abbassare la tensione si. -Che prendete?… lo dice con un tono più affettuoso. -Un bicchiere di latte , un cornetto e un succo, grazie. -Non abbiamo cornetti. Annibale guarda un punto invisibile, lontano, oltre la vetrina del bar e dice: -un bar senza cornetti è come un inverno senza gelo. La cassiera esce dal suo torpore di cassiera e dice: voi siete più…più..più. -Più belli? -Più belli no, ma parlate in modo diverso dagli altri..più intelligenti, ecco. -Sicura? -Sicura si. -Quando ci vedrai arrivare con uno scolapasta in testa cambierai idea. Annibale ride, io pure rido, lei no. La salutiamo e lei ci fa lo spelling del suo nome mentre usciamo dal bar. Alle nostre spalle un runner di mezza età, addobbato come un mercatino di Natale, con velleità pensionistiche espande le sue conclusioni alle nuove regole: importante è non diventare troppo poveri, troppo vecchi fa niente. Fuori, ci accostiamo alla partenza anche se non abbiamo capito dov’è la partenza e ci avviciniamo a quelli che si avvicinano formando un megaingorgo, una monocultura sportiva umana sul piazzale. Una, nemmeno posso dire che somiglia ad un’attrice, perché è più bella dell’attrice stessa che direi, mi acciacca un piede con lo sguardo brutto perché non me lo sono tagliato prima quel piede lì. Il suo cervello ultrapiatto è un fortunato acquisto all’outlet, reparto cervelli fallati. Per alzare il morale provo a riflettermi nei cerchi parentetici lasciati dalle spazzole del pulitore furgonato Ama, sono troppo ripetitivi e non riesco ad agguantare l’effetto di un riflesso stabile e sostenibile. Il cielo è jeans. Il parco è mou. Pam….. una pistola a salve uccide la partenza. Subito curva a destra, subito parco. Travolgo un muro a secco tirato su nella notte con lattine di birra vuote. Dopo un quarto d’ora in vari punti della sua scia sorpassiamo una ragazza che suda sudore profumato da far lacrimare gli occhi. La chiesa in glassa bianca è circondata da campers usati bianchi. Uno scapicollo di discesa e un muro di sole donne che viaggia ad andatura postdatata. Un paio di svolte labirintiche e ci ritroviamo sul percorso centrale spatolato di palmizi. Poco esperti nel selezionare gli stimoli della velocità da tenere adottiamo lo stop and go. Scoprire cosa vogliono fare di noi le donne muro è facile: ci mandano a quel paese per un sorpasso azzardato calpestando su di un crinale stretto qualche succosa fogliolina dentellata di cicoria. L’oasi del laghetto, l’acquedotto romano, patrimonio di un’umanità periferica, diventa di tutti. Pittura di acqua e pittura di terra : il Parco sul cavalletto è struggente. -Hai trovato lavoro Tò? -Macchè…un ipermercato mi aveva adottato per scrivere qualcosa di carino per i clienti natalizi. -E come è andata? -Volevano inserire intervalli pubblicitari ogni 5 righe e mi sono rifiutato. -Come dire ho un buon attore e gli voglio far fare una cazzata di film. -Proprio così, Annibale. -Ma cosa credi tu Tò?..se stiamo in questo inferno, in questa merda è perché ci sentiamo merda e perché ci fanno sentire merda. Una miss biondina si ferma ad ascoltarci fulminata dalla teatralità vocale di Annibale che non riuscendo a vivere un’emozione per volta ci aggiunge un inciampicone. Essendo metà ragazzo e metà caucciù rimbalza sull’erba e si salva per qualche lezione di parkour. Miss biondina gli spolvera la maglietta con la scritta Zagor, poi dice: beati voi. -Beati noi che? -Beati voi che ce la fate. -Se sei con noi ce la fai pure tu. -Non per molto, non per molto. -Noi non ti lasciamo, lo dico con una parodia della tenerezza. -Siete carini, ma la gara è gara. -E dov’è?..questa gara....noi siamo qui per altro. -Ma davvero?..e il numero sul petto? -Quello è una copertura, in realtà stiamo cercando una. -Due, due.. aggiunge Annibale. -E come sono? -Sinusoidi come te. -Io non sono sinusoide, oh!...ma che tonta…. ci avevo creduto. Ride, ride spalancando la bocca come ridono i bambini. -Visto come passano i chilometri se non ci pensi? -Visto La fatica ci fa sembrare assopiti, la biondina fa da portavoce: evviva manca solo un chilometro. L’arrivo arriva a precipizio. La volata lunga 300 metri è a quattro nell’impianto di atletica antinaturalistico, un ragazzo in carne in terza corsia ci resta vicino. Ha occhiali da vista con stanghette da 3D e il passo pesante, una tuta rossa con l’acronimo P.2007 molto evidente. Eroico sbuffa e tiene. La nostra conversazione senza parole dura pochi secondi coperta dal consenso elementare di qualche applauso. Tagliato il traguardo per mano seguendo un tacito cameratismo giovanile scrutiamo quell’entità umana nuova occhialuta, convinti di aver fatto bene a tenerlo con noi. Solo convinti. Un collage di scarpe e mutande colorate si accalca nei presepi del ristoro. In quel parco infantile con tè al sapore di plastica e merendina in mano ci salutiamo. -Alla prossima. -Alla prossima. -Alla prossima. -Alla prossima. -Sei tosto eh…come ti chiami tu, amico. -Franco.