CorriRoma. Mancano dieci minuti alla partenza delle dieci. Della notte. La mia cuccetta individuale fa molto ridere costellata dalle borchie luminose dei miei amici scapestrati. Per la testa mi passa tanto di quel materiale da raccontare cose tipo:-voi sapete bene come la penso, se si sbaglia si sparisce, meglio essere cauti, andare piano sulle prime salite e non morire tecnicamente. Non mi viene in mente un modo migliore di dirlo a Massimiliano che dirlo e basta. Questo è il nostro modo di goderci il tempo libero, di dimenticare gli aspetti tristi della vita e di sentirci meno in pericolo, meno superflui, meno in balia di dispositivi raccapriccianti come le donne, l’automobile, il telefono, la tv. Fateci caso, quando ci sono poche informazioni bastano le gambe e le risate per stare bene, e io ora sto scherzando. Il riscaldamento è preceduto da una foto con il presidente della Lazio che si aggira con la scorta di un abito scuro e una seducente minerale in mano nella Piazza del Popolo da dove partirà CorriRoma. Lotito è sereno e disponibile, una bella immagine la sua immortalata con il telefonino. La mia squadra si rifiuta di essere ostaggio di un riscaldamento da ergastolani in una porzione circolare piccola e prestabilita. Contraddicendo la nostra non velleità agonistica già dall’inizio scansiamo un paio di mollaccioni e con un missile legato al sedere superiamo un sacco di gente tranquilla che si gusta il gesto salutare di correre in centro senza automobili. Quello che penseranno di noi alla prima crisi non ci importa, per ora va bene così. Viene spontaneo chiedersi come mai non sia successo prima di far nascere una gara senza lampadine sulla quale scroscia una pioggia di stelle che non finiscono come al solito ignorate nel lavandino, ma restano attaccate addosso a chi corre tra l’incanto comico di ruderi sorpresi dalla musica sbalorditiva di gruppi alternativi illuminati da fiaccole di cera. Carmine mi resta accanto per i primi cinque chilometri nonostante la mia reputazione di atleta scadente, l’amicizia è più veloce della sua velocità e quel gesto generoso non lo dimenticherò mai. La mia figura spettrale scende finalmente dall’alto di Villa Borghese con la doppia espressione unificata di fatica e contentezza, un vero simbolo della gara durissima. Manca un chilometro, ma ci vuole un tempo infinito per raggiungere la retta di via del corso. La mia volontà di appoggiare il ritmo a qualche compagnia estemporanea viene calpestata malamente dallo sguardo assassino di un ciccione che per rivalsa batto in volata. A sangue freddo raggiungo ancora in salita una specie di spogliatoio sotto il Pincio. Il pavimento è piastrellato da numeri, bottigliette energetiche, magliette sudate aziendali. Sotto, l’esodo di massa verso le automobili è rallentato dalla bellezza della piazza: la porta si apre verso l’interno e nessuno vuole uscire, ogni chiesa sembra una cattedrale. Nemmeno serve vestirsi di superiorità morale o di guarigione quantica per andare via. Lo scrivo giusto per farmi un’idea di come fare. E’ una prova, una provocazione guidata. Turistica. Decisiva. Diagnostica. Come è scritto nell’elenco. Quello dove le sparo grosse. Quello dove non me ne sbatto di un panorama che vuole piacermi per forza. Scatta la serratura e io e Carmine ci allontaniamo. La musica continua, e è luce nel petto, è vapore, è buon cammino. La notte profuma di disinfettante davanti al Ministero della Marina proprio dove abbiamo posteggiato l’automobile. Sotto scorre un fiume, ripugnante collaboratore di un paesaggio fatto di bellezza esagerata. Da qui sembra un pezzo di tubo nero che geme. Da lì, forse dove si vede meglio, sembra la stessa cosa. Ho dimenticato di segnalarlo prima. Che quando mi perdo nell’osservazione il racconto smette di essere racconto e diventa un reticolato di pannelli informativi capitati vicino, noiosi quanto un bagno estivo. Per quanto riguarda il mio parere invertire la normale distribuzione di quei pannelli non serve, bisognerebbe proprio cancellarli e limitarsi alla capacità di ascolto di chi leggerà. Tutto lì il segreto, chi legge deve essere affine, impeccabile nel non distrarsi nell’osservazione del paesaggio descritto. Come un vandalo devo rompere i vetri delle finestre in modo da rendere falso e disarmonico l’esterno. Oppure usare come materiale aggiuntivo il mio respiro e appannarle quelle finestre per lasciare tutti all’oscuro del panorama e appassionarli alla faccenda mia, personale, sportiva, artistica.