La Corsa dei Santi . Se ti vergogni della tua solitudine, se non sai come coprirla come nasconderla, diventa scaltro, trasforma la tribolazione in dono e lucertola fino ad una fonte di confusione, o fino a un amico. Metti il dito qui mentre io faccio il nodo è il mio modo opportunista di chiedere aiuto e di averlo vicino un amico e poco importa se siamo nella piazza più conosciuta al mondo, circondati da un crepitio di giudici, turisti, corridori. Quel nodo resta importante. La passione per la corsa ci si è ficcata nei denti come carne Simmenthal, e ci sentiamo obbligati a non liberarcene, anzi, a raccontarla... Accorciare la distanza dal centro diventa più facile in un giorno centripeto di festa. Il panorama periferico viene sostituito ben presto dalla bellezza di un contesto monumentale. Posteggiamo con finta disinvoltura a Borgo Pio. La porta chiusa di un bar fa pensare a un rumore falso quando sbatte, e noi usiamo lo stratagemma di entrare per vedere se dentro è tutto vero. Un orientale alla cassa con voce comica dice- prego. Risponde la nostra allegria sull’orlo del pianto- tre caffè. Siamo tutt’e tre preoccupati, Carmine è alla sua prima gara, Massimiliano pure e per solidarietà mi sento obbligato anch’io ad avere la loro stessa paura. Faccio qualche saluto scompagnato alle amichei di Nettuno e a quelli di Tor Tre teste. Mare e monti. Fuori, nella piazza, sulla moquette di sanpietrini ci stanno tutti vicini, non per amore, per riscaldamento. All’attaccatura del colonnato ci facciamo una foto con il resto della podistica convinti che Sandro, il nostro amico fuori mano sorriderà per quella scritta sulle magliette bianche, sorriderà e sarà contento. Lo start consolatorio e devoto del sindaco è così moscio che ci fa sentire persone lasciate a marcire in una decina di chilometri. Nessuno ha voglia di litigare con nessuno e partiamo lenti. Ci rifugiamo in un rumoroso e sguaiato gruppo di Fondi trasgressivo quanto basta per risultare simpatico come un cacciavite in un occhio. Cerchiamo di essere indulgenti con loro, ma il vero gioco è il rispetto e il silenzio. Non si tratta una gara così spirituale come un meeting di giostrai. Per fortuna ci distanziano. Carmine è un buon compagno e non mi fa patire la solitudine, né il rischio di essere anaffettivo. Non voglio sforzarmi nella ricerca di cose nuove da dire o nell’invenzione di personaggi, tutti conoscono la banalità del gesto ripetuto e quanto sia complicato trovare situazioni originali, e mi perdoneranno. A Piazza Venezia la gente ha ricominciato a circolare armata di indifferenza. Ritorna il percorso inverso come per un ripasso pianeggiante. Sulla dirittura finale di via della Conciliazione rivendichiamo il nostro diritto di essere stanchi e di essere privi di accelerazioni finali. Non c’è nulla dietro cui nascondersi e all’arrivo mi trovo faccia a faccia con un’amica periferica giovane e bella, sorpresa di trovarmi ancora agonista. Rinnovo la sua perplessità dicendole che sono sorpreso anch’io della mia longeva mediocrità. Per ridere meglio si toglie gli occhiali, non è inventata, è vera, e ha gli occhi belli. Affondo i denti nella medaglia in similoro per controllare che sia fasulla. Conto quanta gente mi è arrivata davanti. Uno, due, tre, quattro…mila. Una sessantina sono amici, e ci posso stare. Che poi tutta questa gente è la mia gente. Corre come me. Ha i problemi come me. E non si lamenta. Non sono parole apparentemente affettuose, sono parole affettuose. Questo non è ancora il finale, ho ancora i miei amici vicino a me. -Ve lo dico subito, domani non mi cercate per correre. -Ma chi ti cerca. Carmine ride, con la bocca spalancata, come ridono i bambini. Massimiliano, ride. Qui, adesso.