Corri al Tiburtino 2014 Le giornate di novembre sono fatte così, ti può atterrare su un occhio una foglia di platano e una piacevole cecità momentanea mentre l’altro occhio continua a vedere il contratto stipulato con il sole per l’intera giornata. Via Mozart è proprio una gran bella via lunga e larga che finisce tagliata improvvisamente dalla lama di un coltello di marmo di un brutale condominio. I palazzi, scatole di cartone ridotte male, hanno un odore che non mi piace, teste curiose e arrugginite alle finestre imitano chiavi ficcate nelle toppe. Vale comunque la pena faticare un po’ per comprendere questo antico quartiere. Sulle mie scarpe residui di sentiero erboso e l’assaggio mattutino della brina. Una panchina in bella vista color giunchiglia coperta di anziani mostra l’altra faccia della vita, quella più vera che intenerisce, quella naturale come un battito cardiaco. La loro impressione è quella di assistere allo spostamento di valorosi purosangue che tra un po’ entreranno in pista, non sanno che per fare gare basta un certificato medico che dica che soffi bene nel tubo e che sai salire e scendere un gradino per tre minuti oltre a gestire alleanze, amicizie, inimicizie, tradimenti, volate, pettegolezzi e la puzza di poliestere sudato. Passiamo sopra un giardino sepolto, si sente che lì sotto ci sono margherite e arbusti, nascosti. Le nostre proteine e sangue catturano i rumori degli addetti ai lavori che si spostano freneticamente mentre nasce una piccola città dello sport , un miracolo che si ripete ogni anno nel quartiere, quelli di Cat Sport ci sanno fare. Difficile è descrivere come ci si sente a posare lo sguardo sulle parti anatomiche delle ragazze numerose che cominciano a riscaldarsi, una delle tante virtù della gara è quella di non nasconderle sotto abiti pesanti. Ci spostiamo di un centinaio di metri per non rovinarci la reputazione, lì il silenzio entra nelle orecchie come cera. Oggi lo speaker non geme, non c’è, ci appoggiamo al cartello di un centro commerciale per sviluppare un contrasto drammatico con la decalcomania gioviale di un tale che maneggia un carrello della spesa. Come modello di contro pubblicità funzioniamo. Il pallone della partenza color livido di un cazzotto ci ospita ammassati con disinvoltura. Antonella ci cade addosso. -Ho avuto tante delusioni dagli uomini, potrei organizzare visite guidate delle mie cicatrici, ma dopo aver scovato voi ci ho ripensato. -Perché? Perché siete buffi. -E quindi niente più gite? -No, cavolo. -Allora possiamo uscire allo sbaraglio e osservarti senza nasconderci. -E io, stupida, che pensavo non ci fosse più nessuno a guardarmi. (ride) Ma mi trovate così bella? -Si. La sua risata supera quelle precedenti, per intensità, e ci rende felici l’idea di averla ispirata. -Da dove venite, in che mondo vivete voi quattro? In questo, risponde Carmine con una risposta unica. Per evitare deformazioni psicologiche recupero la concentrazione. Fra i vari salutatori quello che più si avvicina alle regole dell’amicizia saluta pure me e passa buoni cinque minuti a specificare che il percorso è duro sfiancandosi di fatica a non guardare i seni della nostra nuova amica. La mia virtù di cronachista dei poveri si concentra sui corridori sopra i quaranta anni. Nell’attesa intervisto una mezza dozzina di personaggi sconosciuti e capisco che la loro presenza non ha altra funzione che la fuga da casa. Conto alla rovescia, colpo di pistola. Essere fan sfegatati di Antonella dura poco, lei sparisce avanti tenendo un ritmo proibitivo. Mai in spinta raggiungo i cinque chilometri. Walter e Carmine sono un chilometro avanti, Roberto ha un ritmo ibrido, piccole fughe e piccoli rallentamenti, nulla di regolare. Parecchi fratelli cattivi mi superano negli ultimi due chilometri, ma non c’è malaccio come tempo, finisco sotto l’ora. Dopo il traguardo pensatemi, io non riesco a pensarmi, stremato di fatica. Tè, pane e olio sembrano un ristoro da dopoguerra. Ma non se ne può più di bevande isotoniche e barrette proteiche. Mangio la mia fetta di pane, sale e olio. Torno all’infanzia, era quella la mia merenda da bambino. Mentre giocavo con il camioncino. Un abbraccio ai miei amici della podistica che per una questione di rotazione mi arrivano sempre davanti. Un abbraccio a Carmine, Roberto, Walter. Li ho convinti io a cominciare a correre e loro mi ricambiano convincendomi che mi vogliono bene.