Il sole è coperto da un traffico di starnuti nebulosi, non ci voglio nemmeno pensare che possa sparire da un momento all’altro. L’appuntamento è sotto il cartello del centro commerciale con la scritta Buone Feste sfigurata da un tendine di minuscole lampadine colorate. Franco con il giaccone imbottito della podistica e la borsa in similpelle può essere confuso con una campana per la raccolta differenziata dei cocci o quanto meno sembrarci imparentato. Le colline di cinz verde sono coperte da stravaganti spiccioli di luce, da casette bianche, da piccoli falò e conseguenti lingue di talco che salgono in cielo. Il lunotto, sporco di periferia, offre una panoramica di chi si trova dietro: un cingalese fanatico dei mezzi pubblici e un anziano in bicicletta da corsa. La red bull mi scoppietta in gola, il suo gas risale fino al naso. Faccio guidare Franco così posso rilassarmi nell’abitacolo fino a far perdere significato al panorama e all’orizzonte che diventano semplici illustrazioni variabili. Posso tenere un piede scalzo sul cruscotto. Posso guardare le donne –nonmiguardaretonto- con il telescopio patinato del depliant della gara arrotolato. La variazione d’appannamento del finestrino destro coincide con lo stato d’animo del mio respiro, autonomo, ma sotto controllo. Per dire qualcosa di camionabile dico che la mia prima ragazza, una straniera, non portava reggiseno. Dopo un break con una lastra di prosciutto attraverso la quale posso vedere in trasparenza il mio dito indice e un brivido di gassosa dico...anche la seconda, ora che ricordo, non portava reggiseno e non era straniera. Franco angola il mento, lo innalza, e sorride per quanto sono scemo. Poi con voce acuminata dice: tutto il mondo è paese, compà. Difficile interpretare quel compà, vale compagno, o vale compare? Non amo le traduzioni e continuo i miei arabeschi di fiato sul vetro. Fuori, un ciccione con maglietta stretch mostra muscoli da pasticceria. La matassa di radici anti asfalto gli provoca un brutto inciampo che sposta la sua ombra verso di noi: dov’è la gara?...lo chiedo per soffocare la risata. L’odore di vaselina conficcato nella pelle aggiunta all’odore del mio orsetto essiccato nell’abitacolo gli dà fiducia e dice: lì. Partenza e arrivo, una crudeltà che questa volta non coincide, cari miei. Sono separato. Eh?... Voglio dire che pure la mia partenza e arrivo non coincidono e dormo in roulotte. Stringe il cranio tra le mani per testimoniare dove è stato più colpito. Salutiamo il suo dipinto per allontanarci più in fretta possibile, Franco gli fa un sorriso strano, il suo sorriso vero è diverso, lo conosco. Scuoto la testa. Franco afferra la scarpa che mi sono tolto, una Nike arancione ultima generazione e dice: quanto costa questa? Una poco, se ne compri due di più. Io ne voglio una, non si può avere? Se fa andare più forte eh ....lo dice stringendola fino alla polpa. Fa andare uguale. Ride, ridiamo tutt’e due. Il pubblico, letale per il morale, visto in controluce è : 1 vecchio in piedi, 1 vecchio seduto, 1 vecchio seduto, 1 vecchio seduto. Stanno giocando e il loro gioco si chiama essere inannoiabili. Il più vivace ha una stampella ortopedica, è scappellato, si accende un sigaro toscano, si aggiusta la scriminatura. Questo fa. Gli alberi, tubi con rami a tubo senza corteccia non nascondono uno speaker grasso che reclamizza fortune atletiche. La strada è una strisciata di bic su carta bianca, azzurrognola. Posteggiamo con facilità disarmante, un ragazzo rom mi parla attraverso la cenere di una sigaretta spalmata sul finestrino, mi piace la sua cantilena, gli passo un euro e 75, mi fa un sorriso che ricambio. Il blocco delle auto non ci tocca, abbiamo il passepartout del pettorale. Gli avversari sono più nitidi ora, tutti imperfetti bravi ragazzi. Sono preoccupati, con facce spaventate come dopo un lifting venuto male. Guai a chiedergli come stai, coltivare la malinconia è il loro vero sport e risponderebbero: lascia perdere amico. Il braccio sinistro mangiucchiato dal sole ne saluta qualcuno, il destro tiene il numero in mano con il chip. Una voce da leader con basetta fresca di aggiustatura dice: ci siamo. Trovando un certo gusto nel ripetersi dice: ci siamo. Lo dice ancora osservando il bagliore subacqueo del suo orologio e ci giurerebbe che ci siamo. Falsificando peso, età , e la prolunga di un culo stremato dai sedili dell’Ibiza tre o quattro gradi di comodità sotto quelli di un carro armato ci uniamo al pacchetto di partenti con la felicità di chi sta lontano dalla bottiglia e dalle sigarette da un mese e dalle donne da una vita. Franco ritrova un suo amico che gli confessa un’invalidità temporanea, menisco. Un gommoso dissuasore di velocità ci fa tenere alla larga dai primi, dai secondi e dai terzi. Essere scadenti contemporaneamente e nello stesso posto ci premia con un’aria stordita, indifferente, i piedi masterizzati dagli stravizi hanno un suono metallico. Una palizzata di schiene femminili profuma di cosmetici sciolti, da mercatino, sono tutte della stessa squadra e hanno tutte il nome scritto sulle spalle. Le loro facce, viste di sguincio, mostrano un progetto di fatica che ancora deve arrivare ed è bello leggerci dentro il futuro. Le loro acconciature a mandibola d’insetto illuminate da uno scompiglio di luce smorzata mostrano ricrescite evidenti color foce del Tevere. La più bruttina muove la bocca come un cartone animato, la voce, doppiata, sembra uscire da un’altra parte. Colpita dall’incanto comico dei nostri pantaloncini che esaltano la linea …chiede… … che ci fate voi qui?...tutto sembrate meno che corridori. Stiamo scegliendo il nome. Di chi? Del bimbo, non sei incinta tu? Ma va ..va.. con il vantaggio ponderale del pargolo mai concepito si allontana. Una del team nella mia traiettoria visiva mi fa un sorriso solidale, da sembrare quasi doloroso. Sento un calore interno, non interiore, qualcosa di alcolico che fa un lago nello stomaco. Ha la carne molle, da casalinga, nulla di palestrato, nulla di avvincente, la bocca a bruciatura di sigaretta. Posso allontanarmi senza che nessuno reclami la mia presenza eppure resto lì . Tutto bene?..lo dico sollevando il pollice della mano più magra, il sinistro. Non mi sento un granchè, quanto manca? Siamo appena partiti, manca…che c’è? Sento il cuore battere troppo in fretta per come andiamo, lo sento fuori della gabbia toracica, è uscito a fare una passeggiata. Eppure la tua voce sembra normale, è un cardiofrequenzimetro naturale la voce. Mah…mi batte svelto però. Fermiamoci. Tu,tu vai…o perderai tempo. Non corro contro il tempo, mi importa nulla del tempo, più ci metto e più mi diverto. Avevo dolore al dente del giudizio e ho preso qualcosa, sarà per quello… Hai preso un antidolorifico? Si, non ne potevo più..tutta la notte sveglia. Restare a casa no eh?...maledizione alle gare.. Mi ero iscritta, questa storia delle iscrizioni anticipate diventa una specie di ricatto morale e corri comunque anche se non sei a mille. Mi manca il respiro, che faccio?..mi manca. Non parlare, chiamo un dottore, l’ambulanza, qualcuno chiamo. Con che?....mi afferra un braccio. Non so. Aspetta, mi passerà…ho paura. Le prendo una mano, sparisce nella mia, mi concentro sulla pressione digitale del polso, sul battito, ci capisco niente, neppure ho l’orologio, ci soffio sopra il fiato per raffreddarla, come se il malore fosse lì in quella mano. La faccio sedere su un tappeto di bicchieri bianchi di plastica, nello spazio di una pompa di benzina chiusa. Provo con lo sguardo a fermare qualche runner che mi passa accanto, hanno tutti la faccia stralunata dallo sforzo e solo quello leggono : lo sforzo. C’è molto silenzio, la gara ha la facoltà di interrompere il traffico e di associare un grande silenzio ad una grande quantità di persone , tutto il contrario di quello che avviene in uno stadio, in un mercato, in un assemblea, la gara è silenzio. Un silenzio diverso da quello tipo, state zitti!… ..non lo so spiegare è un silenzio strano. Piego con cura la sua maglietta tre volte, con precisione, uno stratagemma per avere il polso sempre libero fino al gomito. Hai fatto bene a dirmelo che hai preso qualcosa per il mal di denti, hai fatto bene. Sei un dottore? No, mi dispiace. Con gli antidolorifici si alza la soglia del dolore e senza accorgertene vai fuori giri, vai oltre, rischiando di grosso, questo lo so per certo. Corri da molto? Un paio di anni, forse più, ma con decisione da un paio di anni, si. E com’è la corsa con decisione? Voglio dire con regolarità, scusami. Ma figurati..pensa a rilassarti, va meglio ora? Si, va meglio, ma non lasciarmi sola. Vedo la sua paura rimbalzarle sul viso e formare tanti spazi colorati. Paradossalmente il suo timore scaccia il malore, simile al fumatore incallito che preso dal panico di poter avere un brutto male si accende una sigaretta per tranquillizzarsi. A lei si accende la paura. Tutta questa gente che ci corre intorno non la sopporto, nemmeno uno sguardo, che cinismo esasperato. Ma loro non possono sapere…... …e una deve crepare per far sapere???..sono dieci minuti che sto sdraiata, cavolo. Solo tu ti sei fermato, solo tu. Io rappresento tutti, dai. Tutti questi stronzi?..non ce la puoi fare a rappresentarli, non ce la puoi fare Tommà, sono troppi e troppo stronzi. Stai esagerando, rasserenati….e come conosci il mio nome? Ti chiamava così il tuo amico, quello grasso… Ah ..Franco, ma non è grasso. E tu come hai fatto a capire se non lo è ?..(si sorride). O.k è grasso, ora sta serena. Ascolta , a cento metri vedo un Bar, ce la fai a raggiungerlo piano piano? Si che ce la faccio non sono mica moribonda. Ora, costeggiando l’aiuola la guardo bene, deve essere stata molto bella, nemmeno troppo tempo fa, una bellezza fatta di dignità ed eleganza. Ogni inquadratura dei suoi occhi blocca il respiro, che poi sono occhi normali, neppure si distingue il colore . E’ calma, ma qualcosa dentro di lei vibra ancora. E’ sparita una porzione di paura e qui c’entro un po’ io e la mia chiarezza nel rassicurarla senza nasconderle i rischi che ha corso. Non lo dirai a nessuno che ho preso l’antidolorifico , vero Tò?..mi vergogno. No no, tu prometti che non prenderai mai più certe cose prima di correre. Promesso , ma era per il dente..io non devo superare nessuno. Va bene, che vuoi bere? Un caffè. Sei scema?...dopo quello che hai passato?... Invece di offenderla quel sei scema le aggiusta il cuore, si sente protetta, in buone mani e risponde con un: tu che prendi Tò? Una spremuta se ce la fa in fretta. Pur’io. Ti è tornata la voce, avevi un tono così basso prima, mi stavo preoccupando veramente, sembravi il tuo doppione approssimativo. La gara la finiamo?..non manca molto, vero? Si, ma camminando, niente corsa, tanto qualcuno lo superiamo lo stesso ci puoi scommettere. Il tuo amico Franco no, si è dileguato eh… No, non si sarà accorto. Si si..ti vuole battere oggi…(ride). E’ molto leale, non approfitterebbe mai di situazioni. Si si. Se non la pianti di dire si si… ti lascio qui da sola. Ti sei offeso, scusa Tò…ma i runners sono così..non si fermano mai. Lui si, si ferma!…(sono quasi alle lacrime) Pensavo che fossi un monello Tò, e invece sei come un bambino, un bambino buono. Torniamo sul percorso dai. Va bene, ma camminando eh. Si, camminando a passo svelto. A passo piano, o.k? ..oh! Percorriamo un chilometro, un chilometro e mezzo, forse. Siamo cibo umano per i pochi spettatori rimasti malnutriti di novità, uno ha uno strambo paio di occhiali aggiustati con nastro isolante. Parte qualche applauso di scoraggiamento. Ora stiamo tutti meglio vero? Si. Come ti chiami. Maria, e non dire..il nome della Madonna..me lo dicono tutti tutti. Non lo dirò, posso pensarlo almeno? Come vuoi. Consapevole di essere l’eroe di qualsiasi storia io racconti, qui mi ci sento veramente, voglio dire sono compatibile, ecco la parola giusta: compatibile. Un codice binario di corridori ci sorpassa: acceso, spento, acceso, acceso. Non so se lo vedo prima io o se è lui che vede prima me. Da lontano sembra un pupazzo di neve al quale il vento ha portato via naso, cappello e pipa. Ho un gelo elettrico nella testa. La voce è quella di sempre , l’accento abruzzese pure,,,:…. Tommà? Non ti vedevo arrivare e mi sono preoccupato, tornare indietro è stato un tutt’uno. Maria lo guarda commossa, senza dire nulla. Io dico, sei un amico, grazie. E di che Tommà?..mica ci dobbiamo battere noi, noi dobbiamo battere gli altri, questo si. Gli altri e Annibale, dico e rido. Lo presentate anche a me questo Annibale, è così terribile? Terribile no, è Nibale. Siete fortunati voi…. A battere Nibale? Ahahahhaha, si. L’arrivo arriva. La versione immediata che ho di me abbraccia tutt’e due, insieme. Da vicino Franco ha uno schizzo di candeggina sulla maglietta, coperto con il pennarello rosso. Nei titoli di coda si ringrazia: Enzo, amico del cuore della palestra FF- Tor Vergata, in grande forma. Nazzareno, elegantissimo in borghese e suo figlio, atleta d’elite. Una ragazza di sinistra del parco non mi ricordo il nome, la bellezza si, mi riconosce lei, sono talmente cambiato che non riconosco chi non cambia. Angelo, 78 anni, Cat Sport, superato al sesto chilometro. Ivana, Lucia e Sabrina, Atletica Villa Phampili, simpaticissime e carine, racconto che sono stato uno dei soci fondatori della loro squadra, forse non erano neppure nate. Ragazza con i capelli rossi, Podistica Preneste, carina, compagna per 500 metri. Maurizio Mastrofrancesco, mio ex allenatore salutato alla partenza. Massimo Mantellassi, toscano, garbato, gentile, rapido, salutato all’arrivo. Alberto, affettuosissimo e magro. Raffaele, generoso e cordiale. Davide. Un mio amico della palestra, dice la corriamo insieme, poi mi da 10 minuti. Walter, per il caffè.(ho pagato io) Pino, per l’amicizia. Rod, per l’abnegazione. Sonia, per la bellezza. Franco il barbiere, e il saluto urlato che spazia tra: abbello—e---grande!! ..operato all’anca si sente un altro. Uno spettatore corridore sconosciuto, a 300 metri dal pallone rosso del traguardo cerca il mio sguardo e strilla: Tommaso scrivi cose meravigliose. (giuro che è vero e non pubblicità occulta)