Una gara divertente che non farò mai più. Mamma ha gli occhi scuri, un colore che ricorda il vapore del caffè. La conversazione rasenta toni amabili, poi lei si concentra sul triangolo scaleno delle mie foto incorniciate, con un’ ellisse vocale le scannerizza e preoccupata dice: -come sei cambiato. Guardo altrove e faccio un sorriso non spontaneo. Capelli ricci, secchi, sporchi, post naufragio, post fiore selvatico , imito il saluto di un cinquantenne e me ne vado numerando i passi e le scale. Il cielo blu opaco sembra il letto di un lago morto. Parcheggio in un comodo angolo di prato, l’erba sotto le ruote non produce rumore. Entro nelle grazie della giornalaia che indaga su di me inalando domande invadenti.. ..che corsa farai?...quanto ci metterai?... ma non ti stanca correre? Tutte questioni che m’ incoraggiano a prendere il giornale in fretta e continuare la mia vita il più lontano possibile da quell’ edicola nascondendo il fatto di nascondermi. Il Bar non è troppo distante, ci arrivo a piedi in 5 minuti. Il quartiere è grande, prosciugato di attrazione da strade a scorrimento veloce , giardini arrugginiti dal sole e alberi amputati. Fuori l’odore del caldo, dentro una donna sottile, fresca, poetica. Alle sue spalle un quadro, un pagliaccio mai appeso, appoggiato, e un pugno di ciliegie di vetro, rosse, infilzate in una crepa del muro. Una postazione quadrata, armonica, la sua. Un corpo che occupa poco spazio per non toglierne agli avventori. Franco si accanisce in un angolo adatto all’accanimento su di un gratta e vinci. Cambia la posizione dei piedi, del busto, una monetina oscilla e appare la soluzione: ritenta. -Hola, Tò. -Ciao. Ha un jeans con macchie di grasso, di vernice e strappi dappertutto, l’avranno tolto a qualche disgraziato finito sotto un camion o sotto un treno per poi rivenderlo. Il Bar è molto in disordine. Pulito, ma in disordine, con mucchi di merce accatastata su sedie di alluminio. Se uso spesso il Bar nei miei racconti è per comodità narrativa, solo per questo. Controllando il risucchio delle mie parole in un impeto dimostrativo della mia voce chiedo: dov’è la toilette? Prendi la chiave è una risposta proiettata, autore sconosciuto. Uno specchio grande, molato. Trovo un flacone di sapone liquido antibatterico. L’acqua scorre impetuosa dal rubinetto, mi sciacquo il viso, mi asciugo con un lembo di carta igienica le mani. I miei occhi hanno lo stesso colore del lavandino semi otturato. Una finestrella con il vetro zigrinato fa passare abbastanza luce per vedere un geco color geco immobile sopra un accumulo di medicine. Aspirine, sciroppo, filo interdentale in confezione incerottata, un antibiotico con la -in- finale. Rubo un’aspirina che mi sbrigo ad inghiottire. Un uomo dell’est bussa alla porta. Apro, ha un’aria calma e riposata a dispetto della sua buona razione di guai e mi dice grazie amico. Franco sta di fianco alla cassiera, osserva con cura come sprimaccia bene il cuscino della sedia con il suo perdipiù. La cassiera ha un’orchestrazione fisica da donna snella, una gonna cachi senza fenditure con zip petrolio, tacchi a spillo e una sottomarca di foulard anti aria condizionata incrociato su di una camicia stropicciata dalla moda. -Cosa hai da guardare?...mai visto i fianchi di una donna ? Mai avvistata, risponde con comica soggezione Franco. -Tu Tò? -Nemmeno io, dico senza abbinare immagine e voce, distratto dalla misura regolamentare dei miei pensieri e da qualche metro di distanza. -Facce da schiaffi siete, ecco, facce da schiaffi. (ride) Mi conto qualcosa in tasca per capire dove sono, devo avere qualche malattia strana, ogni tanto ho dei vuoti di memoria. Devo avere qualche malattia strana, ogni tanto ho dei vuoti di memoria, dico. -Devi smettere di bere, Tò. -Il caffè? -L’alcol. -Capito, si vede eh…? -Si, Tò, si vede. -E….e… -Usciamo fuori dai…ti sei offeso? -No. -Dove hai posteggiato l’auto? -Non mi ricordo, fammi pensare… -Cosa non ti ricordi? -Sta zitto, non mi ricordo che macchina avevo. -Per favore piantala di scherzare, Tò, piantala di scherzare. -Non sto scherzando. -Il colore almeno te lo ricordi? -Si, ma faccio confusione con quella vecchia, una Punto grigia. -E questa? -Una Yaris grigia, ecco, ci sono arrivato. -Bravo Tò. -Non dirmi bravo, ho indovinato una cosa facile. Mi abbraccia Franco. -Devi andare da un dottore Tò. -Andato. -E cosa ti ha detto? -Ha detto che è l’età, i vuoti di memoria fanno parte dell’età. Legga, tenga in forma il cervello non solo il corpo. Ha detto questo a te? (ride) -Andiamo a fare questa gara. -Si, andiamo. Dove scappate voi?....(si alza dalla sua postazione, la cassiera) Il tatuaggio nuovo???...voglio vedere… vedere. Essù… abbiamo da fare. Uno la falce. L’altro il martello. Che carini, e che antichi. L’avete fatto all’Ikea?..sezione componibili?..dopo il successo elettorale? Figurati, il mio ha dieci anni. E il suo? Pure. Sentite, la correrete davvero questa gara o è la solita bufala inventata? Io non ci voglio entrare nel racconto, se è finto risparmiatemi. Risparmiatemi pure se è vero. Mi vergogno, va bene?...mi guardano tutti strano, poi. Parla dei tuoi amici, non di me. Non ho amici. E Franco e Annibale?? Non sono amici, sono me. Bella questa, tu ti dividi nel racconto, ti scorpori nei personaggi. Mai letto prima una cosa del genere. Chi cavolo credi di essere per poterti permettere tanta originalità? I tuoi racconti sono colmi di errori, di ridondanze, correggi quelli…prima. Oh grazie signorina, il suo sbudellamento letterario mi fa felice, lei sa fare felice un uomo, potrei uccidermi per la felicità. Sei strafatto di lemonsoda che parli di suicidio? La lemonsoda mi ricorda le mie vacanze giovanili a Rimini… per sostenerci la rubavamo sui tavoli delle tedesche al bar, facendo finta di scherzare. Cioè? ..vi alimentavate a bibite gassate? Si, proprio così, giuro. A che età? 17/18 anni Ora capisco l’origine degli scarsi risultati sportivi, quello che non capisco è perché continuo a seguire le vicende di due atleti scadenti come voi. La birra no?...non vi piaceva?..giusto per avere dei carboidrati in più. Se toccavamo la birra s’incazzavano di brutto, con la lemonsoda ridevano. Vi attaccavate alle bottigliette? Si, mai conosciuta la fame?...la sete? No. Ecco, se la conosci ti attacchi senza troppi interrogativi. E scommetto che poi facevate gli splendidi in discoteca, vero? Vero si, la sera uscivamo dalla scatola. Quello era un mondo parallelo fatto di luci stroboscopiche, musica a palla, ragazze, alcol, profumi, sesso, abiti firmati. Pure Franco? E certo, mica era tonto eh. Ma lui sembra più serio di te. Sembra… Dai comincia con il dire qualcosa di sportivo o questa è la volta buona che Roberto ti censura. Anzi , non dire niente, tanto sei una schiappa, ti batto pure con i tacchi a spillo. Non esagerare. Proviamo?..tanto c’è tempo, no? Smettila, ti faresti male. 300 metri, non di più, fino all’Edicola, coraggio campione. Per favore, potete lasciarci soli un momento?..la cassa è chiusa. Dici che sono 300 metri da qui? Li ha misurati uno del gas, con la rotella. O.k. Si tira la gonna sopra le ginocchia e piega il busto in avanti. Mi sembra di gareggiare con una bambola. Franco ride e prova il rumore dello sparo con le labbra. Piombo, il cane del quartiere mi bacia una mano per solidarietà, poi esausto si sdraia. Franco con la calce secca di un foratino traccia la linea di partenza. M’impappino in un mezzo riscaldamento sul posto. Da seduta sembrava più minuta, lo dico pur non amando gli aggettivi. E’ alta quasi quanto me e molto magra, mi sento un aspirante perdente. Fingo di dimenticare la sfida e come chi sta per affogare e si dibatte verso qualcosa che possa salvarlo, le porgo la mano. Piombo fa un bis di bacio e questo mi dà un coraggio temporaneo. Sulla fronte una graniglia di sudore. Mi sto dilungando sulla partenza perché il percorso è breve e perché ho fifa. Tò? Ci siamo veramente? Non fare scherzi, dimmelo se è un’altra delle tue invenzioni. Le sfioro una guancia… ci siamo, sentito? Si. Le tocco una spalla…… ci siamo, sentito? Si. Ci siamo veramente. Vederla commuoversi in un posto senza attrazione è fantastico.