Best Woman. (Fiumicino) L’accento dovete immaginarvelo, non so come si parla a Fiumicino, questa cassiera parla strano, nessuna idea giusta mi convince, forse è egiziana. -Che prentete? -Caffè per tre, grazie. La memoria d’infanzia mi riporta a una parente di paese brutta così e che parlava così ogni volta che mia madre si sognava di farle visita. Certe familiarità ti vengono inflitte, imposte, e non le dimentichi. Risolta la questione energizzante posteggiamo il taxi di Roberto accanto al parco nuovo, rinvigorito da una staccionata di ferro e da vialetti scorrevoli dove qualche atleta già si scalda. Dall’altra parte della strada c’è l’impianto di atletica con il suo bel prato di plastica verde menta. Dentro, chiusi a chiave, il branco dei corridori. Squilla il mio cell. Domenico, il vicepresidente si preoccupa per il nostro ritardo, o forse è solo un modo divertente di dire che anche noi contiamo. Spontaneamente rigenerati dal saluto dei migliori della squadra torniamo a piedi al taxi, con passo lento. Intorno c’è molta mestizia, i runners non sono uomini e donne superflui, quello che accade in città lo sentono, lo vedono. Ma la forza soverchiante dei 2400 vincerà sul testamento sbagliato dei nostri politici e ritroveremo serenità accompagnandoci su un percorso artigianale e veloce. Il pungiglione di un mattino luminoso aiuterà l’accensione delle luci natalizie e un repertorio naturalistico mozzafiato. Partiti. Non dobbiamo andare a scuola il giorno dopo e possiamo rischiare un ritmo al limite delle nostre possibilità. Non sono un titano della letteratura, ma comincio a pensare cosa scriverò. Essere da qualche parte ma non del tutto è una bella sensazione, trasformare la propria vita in qualcosa da raccontare è una bella sensazione. Beviamo avidamente in un suggestivo posto di ristoro, una bancarella sul mare. Con voce meno ruvida Carmine intrattiene per almeno cinque minuti una ragazza affaticata, poi si rende conto che ha le cuffiette e che ha sprecato un pezzo della sua vita. Un paio di variazioni di direzione piuttosto rudimentali rilanciano la sua velocità con forza centripeta e sparisce all’orizzonte. Pure Roberto sparisce catturato da un gruppo barocco in vena di informazioni turistiche alle quali lui sa rispondere. Rimasto solo trucco l’andatura, mi accarezzo la barba e con uno sguardo circolare addento il mio carbongel come se fosse il polso degli avversari. Una sensazione di freschezza mi assale, ma le parti colpite dall’asfalto restano doloranti. Con un orgoglio che non so proprio da dove arrivi faccio il mio ingresso in pista per gli ultimi trecento metri. Molte sfaccettature di esseri umani attraversano il campo di plastica. La loro distanza è la copia fotostatica di altre distanze. Sono abituato a non essere considerato. Un fotografo poco personale mi immortala , un file temporaneo la foto, che si cancellerà, non ho l’espressione migliore. Si avvicina una ragazza troppo carina. La mia stanchezza non è divertente, e non vendo cioccolatini, ma lei sorride. Si ricorda di me?, dice, con tono pacato e rispettoso. Si che mi ricordo, dico, giocando con le mie mani di pongo. Non è vero, dice, è solo una bugia. Scavalco il prato. Ignoro per ripicca le botteghe aperte dei vari ristori. Trovo i miei due amici che mi invitano a bere acqua. Fiumicino diventa una città di tre abitanti. Roberto, Carmine, me. Al parcheggio ognuno mostra il tempo impiegato. Io non ho l’orologio e dico di aver corso bene fino al sesto chilometro. Mi osservano come un film. Come un oggetto che è quel che è. Remoto. Senza sorridere. Senza di me.